Mundializzazione come opportunità per i paesi sottosviluppati
La libertà di scambiare e di contrattare è per un liberale altrettanto importante della libertà di pensiero o della libertà religiosa. Ora, la libertà degli scambi implica la specializzazione e, tanto più largo è il mercato, tanto più ci si specializza. Il commercio internazionale allarga il mercato e, per la continua diminuzione dei costi di trasporto, per la rivoluzione informatica (che porta al cosiddetto villaggio globale) e con la liberalizzazione (libertà di scambiare) l’economia tende a mondializzarsi. Se questo risultato non è ritenuto desiderabile il rimedio più efficace è quello di ridurre la libertà degli scambi (che può servire anche per attenuare gli incentivi a ridurre i costi dei trasporti e della informazione). Si tratta di una rimedio di cui si può discutere la convenienza che però non si può certamente chiamare liberale.
Detto questo per precisione linguistica si può anche ammettere che uomini politici che pur si ispirano a principi liberali possano, sul terreno della prassi, scegliere rimedi illiberali. Il divieto di vendere e comprare droga può costituire un esempio. Un altro esempio potrebbe essere quello del divieto di comprare merci che sono prodotte con lo sfruttamento dei bambini. Si tratterebbe di interventi paternalistici che si possono anche condividere (ed effettuare se se ne ha la forza) ma che non si dovrebbero mai interpretare come manifestazioni di liberalismo, seppure più avanzato. C’è sempre il rischio di non fermarsi più nelle eccezioni e di arrivare a definizioni di liberalismo grottesche.
Per altro molti degli argomenti per sostenere l’opportunità di limitare la libertà di scambiare sono semplicemente erronei come lo è l’argomento più usato di riferirsi alla perdita di competitività del nostro sistema per il fatto che i paesi più poveri pagano salari più bassi. Hume aveva già capito che l’argomento era fasullo. Ora gli economisti, concordano (tranne poche eccezioni) nel ritenere che l’argomento non stia in piedi. L’argomento che la nostra perdita di competitività dei paesi più industrializzati sia dovuta in modo particolare al fatto che noi facciamo pagare contributi sociali sul lavoro più elevati di quanto non facciano i paesi poveri e che quindi questi paesi facciano con noi un cosiddetto “dumping” sociale è inconsistente. A tal fine basta pensare a quella che è la logica della sicurezza sociale. I contributi sono soldi che sarebbero stati dati ai lavoratori (questa affermazione vale per ogni forma di imposizione, non importa se pagata dai lavoratori o dai datori di lavoro, commisurata ai redditi di lavoro) che però vengono prelevati dallo stato che presume di spenderli meglio, (dal punto di vista del loro interesse), di quanto i lavoratori stessi non avrebbero fatto. Quindi questi prelievi fanno parte del salario ed il fatto che siano elevati significa semplicemente che si pagano salari più elevati. Non si vede che senso abbia dunque parlare di “dumping” sociale. Non ha senso andare in giro a dire ai paesi poveri che devono pagare salari più elevati. Sarebbe certamente bello e si spera che ci arriveranno quando, grazie al processo di sviluppo, aumenterà la loro produttività.
Spesso però si ha l’impressione che molte prediche sociali siano ipocrite.
In realtà si sa benissimo che nei nostri paesi i soldi spesi per la sicurezza sociale sono di certo spesi in modo peggiore di quanto non avrebbero fatto gli interessati e sono quindi in parte buttati e di conseguenza riducono i salari senza contropartite adeguate e sono solo dei costi. Invece di far fronte a questi problemi autonomamente si preferisce suggerire che anche i paesi poveri si imbarchino nello stesso genere di politiche.
È vero che la globalizzazione crea paure e angosce nei nostri paesi ricchi che certo non passerebbero neppure se si spiegasse chiaramente agli interessati il teorema dei vantaggi comparati di Ricardo.
Tuttavia sembra scorretto abbandonare i principi economici liberali quando cominciano ad avvantaggiare quelli che erano i paesi più poveri e sembrano svantaggiare i paesi dei liberali occidentali. Il massimo che si può dire è che vi possono essere seri problemi di transizione e che la transizione va governata nel nostro interesse evitando però di dire che la tutela dei nostri interessi sia una forma superiore di liberalismo (il liberalismo del XXI secolo).