Nella pubblica amministrazione c’è gente che lavora, con cuore e testa, ma c’è anche gente che punta a non fare nulla. Se possibile anche a non metterci piede. C’è qualità e c’è sciatteria, il risultato medio è sconfortante.
Guardando gli incrementi di stipendio, dal 2005 al 2015, si colgono due direttrici, che sono altrettanti scivoli verso il precipizio: il comparto ha dinamiche che ignorano il mercato e i soldi vengono distribuiti evitando sia la valutazione che il premio alla qualità.
In questi giorni, per l’ennesima volta, ci siamo tolti il cappello innanzi a chi non s’è fermato ad alimentare le polemiche e ha salvato vite umane. Nell’epoca in cui l’ultimo fesso punta a diventare famoso, quei lavoratori sono anche missionari e, riconoscibili per la divisa e senza egolatria, fanno miracoli.
Ma c’è anche un maleficio: sono retribuiti poco e il loro stipendio non cresce. Invece, e sono dati della Ragioneria dello Stato, in dieci anni la retribuzione media, per chi lavora alla presidenza del Consiglio, è cresciuta del 45%. Per i diplomatici del 37%. I magistrati guadagnano il 28,4% in più. Il 22,3 chi si è dato alla carriera prefettizia. I corpi di polizia si fermano al 18,6%.
Scorrendo l’elenco si delineano le due direttrici.
In quel decennio il costo della vita è cresciuto in modo paragonabile a queste percentuali? Neanche per idea. E ci si ricordi che i contratti del pubblico impiego furono bloccati nel 2009, mentre, nel giugno del 2015, la Corte costituzionale lo ha ritenuto illegittimo.
Occhio a quel che può accadere, sicché si tenga conto di due cose: a) nel periodo precedente al blocco le retribuzioni pubbliche erano cresciute assai più di quelle private; b) rinnovare un contratto mica deve per forza significare aumentare gli stipendi, potendosi anche inserire valutazioni e premi ai più bravi (nonché penalizzazione per incapaci e lavativi). Colpisce, invece, la totale impermeabilità al mercato e alla concorrenza, talché si sa solo spendere di più, aumentando la spesa corrente e togliendo risorse ai necessari investimenti pubblici.
Una concorrenza c’è, ma interna al mondo pubblico. Guardando i dati se ne coglie il succo: chi è più vicino a chi governa (a Palazzo Chigi, nelle regioni e così via) ottiene di più. Ai pompieri non è neanche riconosciuto che il loro sia un lavoro usurante, mentre usurante è di sicuro avere al fianco collaboratori insoddisfatti e portatori delle rivendicazioni. Così chi sta in ufficio ottiene più di chi spala.
Detesto le generalizzazioni: ci sono funzionari ministeriali di altissima preparazione e grande dedizione. Ma questa, appunto, è la seconda direttrice: mica si premiano quelli, si spende di più e basta. Anche nella scuola ci sono insegnanti eccellenti e coscienziosi, come ce ne sono d’incoscienti in altalena fra il congedo e la malattia, senza farsi mancare gli ignoranti. Abbiamo visto come (non) ha funzionato il premio al merito.
Da questa roba si esce solo con capi che comandano e rispondono dei risultati. Se premiano l’amichetto dopo un anno saltano loro. Se ne esce, partendo dal ministro e arrivando all’ultimo impiegato, accompagnando il potere alla responsabilità, la retribuzione al risultato. Liberandosi dalle rendite sindacali.
La procedura deve servire a standardizzare le modalità operative, non a generare l’irresponsabilità singola, propiziando quella collettiva. Quando i soldi non accompagnano queste trasformazioni sono buttati. E sono soldi dei contribuenti.
Davide Giacalone, Il Giornale 24 gennaio 2017