Alcuni giorni fa il governo ha reso note, almeno in bozza, le “Linee guida per la definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza” (sotto titolo Next Generation Italia). Nelle settimane precedenti molti osservatori, oltre che politici di opposizione, rimarcavano un ritardo del governo. Per farlo portavano a confronto il fatto che il governo Macron aveva già presentato un piano da 100 miliardi per la ripresa dell’economia francese che, nelle intenzioni, dovrà essere finanziato per il 40% dai fondi del Next Generation Eu. È stato meno notato che in contemporanea il governo francese ha annunciato la ricostituzione dell’Ufficio del Piano. Quest’organismo burocratico fu istituito da Charles De Gaulle all’indomani della Seconda guerra mondiale per disegnare il piano di ricostruzione della Francia ed ebbe come primo commissario Jean Monnet, che varò il primo piano quinquennale francese. Chiuso formalmente solo nel 2006 – il dirigismo francese non è mai morto, anche se da tempo non ci sono stati più piani quinquennali – viene oggi ripristinato con a capo Francois Bayrou, un politico di lungo corso alleato del presidente francese. La missione è riscoprire il senso del lungo termine, secondo le parole di Macron, cioè «animare e coordinare il lavoro di pianificazione e lungimiranza», come specificato nel decreto che ricostituisce l’ufficio del Piano.
Non sarà tuttavia questo ufficio che gestirà operativamente il piano da 100 miliardi per la ripresa economica della Francia, che è destinato all’attuazione a breve per dare il quadro di riferimento al sistema economico e produttivo dei prossimi anni, ma il ministero dell’Economia e delle finanze. Si deve, tuttavia, ricordare che questo dicastero, pur avendo la stessa denominazione, ha competenze ben diverse di quello italiano, perché oltre a quelle fiscali e alla supervisione del sistema finanziario, ha competenze generali di supervisione sui fondi nazionali, ma soprattutto sulla maggior parte delle materie che in Italia sono attribuite al Mise, cioè sulla regolamentazione e il controllo dell’economia reale (industria, turismo, piccole imprese, concorrenza), nonché sulle politiche occupazionali. In altri termini, la definizione di ministro dell’Economia, nel caso francese, è effettiva e consente, quindi, una attività efficace di programmazione, sia di disegno sia di implementazione. La struttura amministrativa francese è ovviamente discutibile e corrisponde all’idea di un molo dello stato nell’economia certamente di tipo pesante; la Francia non è la patria del liberismo, e tuttavia vi è coerenza tra visione, obiettivi e strumenti.
L’aver presentato in contemporanea il piano da 100 miliardi e la ricostituzione dell’Ufficio del Piano significa innanzitutto mettere ordine tra il breve, il medio e il lungo periodo, costruendo un ponte tra la visione e la strategia di sviluppo nelle varie fasi, intestando chiaramente i compiti alle istituzioni preposte. Il fatto che il piano da 100 miliardi vada oltre l’utilizzo dei fondi europei è l’indicazione chiara che l’obiettivo non è ottenere questi fondi, ma l’obiettivo è il piano, coni fondi europei da utilizzare come co-finanziamento.
Quel che impressiona, in Italia, è la ventata di aspirazioni dirigistiche e centralistiche senza avere una qualche idea, ammesso che sia la scelta corretta anche in presenza della crisi da Covid-19, di quali siano gli strumenti necessari.
Tornando a “Le linee guida…” citate, non colpisce tanto il fatto che non sembra ci sia nulla di nuovo dai tempi del convegno definito “Stati generali” o che consistano di un elenco delle insufficienze e dei mali italiani, con annessa affermazione che si vogliono risolvere (ci mancherebbe altro) e di un richiamo alle regole del gioco fissate dall’Europa per ottenere i fondi del Next Generation Eu. Non sono, quindi, e non vogliono essere un piano, ma forse neppure delle linee guida. Ciò che colpisce, infatti, è che mancano gli attori: manca il destinatario. A chi sono rivolte le “Linee guida”? Ne ha discusso un comitato interministeriale, le approverà il governo e poi ci sarà un passaggio parlamentare. Ma poi il governo a chi le darà per disegnare il piano? A sè stesso? O alla comunità dei ministeri? O a qualche improbabile e effimera nuova task force?
Ho già sostenuto in precedenti scritti su questo giornale che l’azione più urgente è ricostituire un Dipartimento di programmazione economica effettivo, riportandone le competenze al ministero dell’Economia e delle finanze, rafforzandone al contempo le capacità tecniche e con una responsabilità precisa: cioè una faccia individuabile e tecnica. Mai come oggi questo sarebbe necessario e urgente. Non c’è ovviamente il tempo, e la volontà politica, per riunire al Mef le competenze sparpagliate in vari ministeri ma necessarie per guidare l’economia, ma si può formare, con l’appoggio tecnico di questo Dipartimento, un ristretto “gabinetto di guerra”, con i ministri dello Sviluppo economico e del Lavoro, per guidare disegno e implementazione del Piano nazionale.
Per la visione e la strategia di lungo termine invece, se vogliamo richiamare lo schema francese, esiste nel nostro ordinamento una istituzione già disponibile che è possibile rivitalizzare. Non vedo perché un organo costituzionale esistente, il Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro), non possa essere il luogo dove, oltre a essere rappresentate le componenti della società, vengano chiamati dei team tecnici di alto livello, prestigiosi e multidisciplinari, con l’obiettivo di elaborare e tracciare le strategie economiche e sociali assieme a quelle di rafforzamento istituzionale e amministrativo serventi allo scopo. Quello che non si può continuare a fare è rimandare la definizione del disegno di un piano di crescita, che non può essere considerato solo necessario a fare “domanda” di denaro allo sportello europeo, ma deve fornire il quadro di riferimento agli investimenti pubblici e del settore privato. Ciò serve subito e il cronoprogramma non può essere quello delle procedure europee, perché se non ripartono gli investimenti privati, i consumi e la fiducia non c’è ripresa.
Giovanni Tria
Il Sole 24 Ore, 12/09/2020
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