Ecco un caso che aiuta a comprendere il concetto di libertà: il conducente di autobus licenziato perché risultato positivo all’uso di stupefacenti. S’è rivolto alla giustizia che, per tre volte, dal primo grado alla cassazione, gli ha dato torto.
Il consumo di droghe, in Italia, è libero. La legge è ipocrita, perché proibisce la coltivazione e il commercio, ma non l’uso. Impossibile senza produzione e/o acquisto. Sicché quel cittadino autista poteva sostenere: non ho commesso alcun reato e messo in atto una mia libera scelta. Ha anche sostenuto che si trattava di droghe “leggere”. Altra distinzione di assai dubbio fondamento.
Insomma: perché mai una persona non dovrebbe essere libera di fare quel che non è proibito, senza incorrere in sanzioni, anche nell’ambito del lavoro? Perché esiste anche la libertà degli altri. In particolare il diritto di salire su un autobus senza temere che il conducente abbia fatto uso di droghe. Il che vale anche per l’alcool, del resto: non c’è ombra di reato, ma sappiamo che anche il pilota privato va incontro al ritiro della patente, se trovato alla guida in stato d’ebrezza. Essendo una persona che, per mestiere, guida mezzi pubblici non aspetti che l’incidente arrivi, lo licenzi prima.
Si dimentica troppo spesso che i diritti comportano doveri e la libertà comporta condotte che non nuocciano o mettano in pericolo altri. Gran parte della nostra vita collettiva è coniugata in prima persona singolare. È un male, ci sono anche gli altri.
DG, 9 giugno 2018