I dubbi sulla manovra e il tramonto della vecchia politica

I dubbi sulla manovra e il tramonto della vecchia politica

Cosa spiega il successo che le forze di governo continuano ad avere nei sondaggi? Da una parte, c’è certamente la mancanza oggi in Italia di un’alternativa politica credibile, ma, d’altro canto, c’è forse anche la capacità che le forze cosiddette populiste hanno di cogliere lo “spirito del tempo”. La tesi trova una ragion d’essere, a mio avviso, non solo in una dimensione storica e politologica, come è quella dallo studioso privilegiata, ma anche in una più squisitamente filosofica. Cerco di farmi capire, con un esempio concreto sui fatti di questi giorni.

La tesi più diffusa, anzi direi quella unanimamente accreditata da opinionisti e analisti, è che la la legge di bilancio appena approvata dal Senato, “numerini” a parte, non abbia una sua ratio. Antonio Polito, ad esempio, nel fondo di stamane sul Corriere parla di una “manovra” senza un “guidatore” e quindi senza l’idea di una direzione e una velocità da imprimere all’economia italiana. La manovra sarebbe il risultato di una contrattazione a più livelli e fra più entità, ognuna attenta a soddisfare il proprio elettorato reale o potenziale: una “manovra elettorale” e basta.

Cerchiamo di trarre le conseguenze da questo, ripeto quasi unanime, modo di intendere la faccenda. Se siamo coerenti, non possiamo non dedurre che la “manovra” auspicata o auspicabile avrebbe dovuto essere radicalmente diversa: avrebbe dovuto avere, per la precisione, una idea generale e univoca di ciò che è bene per il Paese, un’organicità interna derivante da questa idea e una direzione di marcia sempre ben visibile al “guidatore” e ai cittadini.

Ora, tutto questo presuppone, anche quando non se ne è fino in fondo consapevoli, che alla politica venga ancora affidato il compito di realizzare un ideale, un valore e un’etica. E alla politica economica di seguire una programmazione, se non proprio una pianificazione. Il presupposto è, detto altrimenti, che, una volta che qualcuno più bravo o “competente” degli altri abbia individuato ciò che è giusto, il buon politico non debba fare altro che agire sulle dinamiche sociali ed economiche per far sì che esse seguano la direzione voluta. Ora è proprio questa idea di politica che, portata alle estreme conseguenze, cioè assunta con rigore e coerenza logica, ha mostrato nel corso del Novecento, secondo i filosofi, e soprattutto quelli di ispirazione liberale, le sue crepe e i suoi quasi mai positivi (e comunque sempre imprevedibili) effetti.

In linguaggio tecnico si è parlato, in senso negativo, di “teologia politica” o di “razionalismo in politica”. Certo, fra ideali e ideologie corre una bella differenza, ma siamo davvero convinti che gli interessi siano qualcosa di malvagio e che la negoziazione ad oltranza sia un modo cattivo di intendere la politica? È proprio sicuro che gli aspetti ideali e etici, fondamentali per l’essere umano, debbano trovare espressione proprio nell’attività politica? In verità, c’è un momento in cui, se si seguono solo gli interessi di breve periodo, si finisce per essere ciechi e quindi per agire in una direzione nociva a quegli stessi interessi. Ed è probabile, anzi più che probabile, che il governo, nella sua spesso manifesta impreparazione, abbia superato la soglia che in poco tempo potrebbe portarlo all’implosione.

Per l’Italia non so fino a che punto ciò sarebbe un bene: cosa succederà poi non è dato infatti saperlo né è oggi plausibilmente prevedibile. Ho tuttavia l’impressione che la vecchia politica, incardinata in orizzonti di senso e partiti e movimenti ben definiti e definibili, sia ormai tramontata. E che questo fatto epocale in sé non sia del tutto un male.

Corrado Ocone, Formiche 24 dicembre 2018

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