Sono stati i politici a costruire l’albero a cui vengono impiccati. Giudiziariamente si intende. Hanno sempre ritenuto che con una norma si risolva tutto.
Per il settore privato i danni sono tutti da vedere. Per combattere l’evasione, hanno reso la vita impossibile agli onesti. Per combattere l’inquinamento trattano la bottega artigiana come l’Eni. Per combattere il lavoro nero, scrivono norme come quella sul caporalato, che produrranno contenziosi micidiali. Gli obiettivi sono sempre nobili. È il principio che è assurdo. Per colpire pochi casi, ma degni di cronaca, si incasina la vita a tutti.
I politici hanno persino pensato di imbrigliare loro stessi in una giungla di norme, in cui districarsi è impossibile, oltre che costosissimo. Per evitare corruzione, favoritismi, clientelismi (tutte pratiche biasimevoli, che continuano a prosperare) hanno scritto leggi pazzesche. Testi più o meno unici (nella loro demenzialità) per cui un amministratore locale, una stazione appaltante, un povero cristo che gestisca la cosa pubblica, è impossibile che non riceva un avviso di garanzia.
È del tutto inutile prendersela con i magistrati. Sono i politici che per rispondere alle pulsioni della piazza e in fondo per una par condicio con i privati, si sono obbligati a seguire procedure del tutto scollegate dal risultato finale (si veda il caso di Beppe Sala, ma non solo), e che se non rispettate negli infiniti e minuziosi dettagli portano loro in galera.