Che l’invidia sia un fenomeno generale è risaputo: che essa rappresenti un bisogno economico, la cui soddisfazione, se fosse suscettibile di essere quantificata, dovrebbe essere inclusa nel calcolo del reddito nazionale, è, forse, meno noto.
Vediamo di chiarire. Consideriamo il fenomeno dell’evasione fiscale, e chiediamoci quale sia l’ammontare “ottimo” di mezzi che una data società deve dedicare alla lotta alla evasione.
La risposta al quesito è fornita dai normali strumenti dell’analisi economica. Come per l’impiego di qualsiasi mezzo al raggiungimento di un dato scopo, anche per l’impiego di mezzi per la lotta all’evasione vale la legge dei rendimenti decrescenti. Cioè, incrementi successivi di mezzi alla lotta all’evasione producono — oltre un certo punto — benefici via via minori (in termini di imposte ‘recuperate’).
Quando l’evasione si annulla, un incremento nell’impiego di mezzi per la lotta all’evasione non rende nulla, perché tutti hanno pagato tutto il dovuto. D’altro canto, se questo è vero, è anche vero che il costo della lotta alla evasione per unità di risultato (per esempio, un milione; di, imposte ‘recuperate’) è crescente.
L’ammontare ottimo di mezzi da dedicare alla lotta all’evasione è, quindi, quello che rende uguali al margine il costo e il beneficio. Questo, in termini non rigorosi, il discorso dell’economista sul problema.
Ma un gruppo ristretto di studenti qualificati cui ci capita di prospettare tale idea non se ne dimostrarono persuasi. Il fatto che fosse anti-economico spendere un miliardo per ‘recuperare’ cento milioni era, per costoro irrilevante.
Perché? Superati gli argomenti banali del tipo “l’evasione è un reato che va perseguito a ogni costo, si arriva a quella che è da reputare la spiegazione valida.
I contestatori sostenevano di fatto che la differenza (positiva) fra costo e risultato della lotta all’evasione non rappresentava una perdita netta per la società, ma era impiegata per la soddisfazione di un bisogno “sociale”, perché l’idea che qualcuno facesse franca faceva star male i contribuenti onesti.
Quindi, dicevano gli studenti, quei cento milioni recuperati avevano un valore, in termini di soddisfazione, maggiore di cento milioni (tale da giustificare persino la spesa di un miliardo per assicurarli all’erario?).
Come si chiama questo bisogno “sociale”? Si chiama invidia. Interpretando liberamente lo schema di un filosofo di Harvard, il professor Robert Nozick, che ha di recente messo a rumore il mondo accademico con un libro splendido (Anarchy, State, and Utopia, New York 1974), la situazione può cosi essere sintetizzata:
LUI |
L’ALTRO | |
A |
Sì |
Sì |
B |
Sì |
No |
C |
No |
Sì |
D | No |
No |
Dato un certo bene, la tabella configura quattro situazioni, il cui confronto ci consente di valutare le preferenze di un dato individuo, a seconda che quel dato bene l’abbiano sia lui che l’altro, lui ma non l’altro, l’altro ma non lui, o nessuno dei due.
Un individuo normale, che ricava soddisfazione dal vedere che gli altri stanno bene, ma che attribuisce al suo benessere un valore maggiore che a quello degli altri, preferisce la situazione A (in cui tutti e due hanno il bene) alla B (in cui l’ha lui solo); la B alla C (in cui l’ha solo l’altro, la C alla D (in cui non l’hanno né lui né l’altro).
Un egoista, che si preoccupa solo di sé e non si cura degli altri, è indifferente fra la situazione A e la B (non fa differenza per lui che l’altro l’abbia o meno); ed è indifferente fra la C e la D. (Ovviamente, preferisce le situa-zioni A e B alle situazioni C e D.)
Un invidioso, che sta male quando gli altri hanno quello che lui non ha, è indifferente fra A e B, ma preferisce la D alla C (e la B alla D).
Un malevolo, che gode del fatto di stare meglio degli altri, infine, preferisce la B alla A, e la D alla C (e può persino essergli indifferente avere la A o la D).
Morale: il ragionamento degli studenti vale nella misura in cui la maggioranza della gente a costituita da persone che appartengono alle ultime due categorie, cioè da ‘invidiosi’ e ‘malevoli’. Non varrebbe invece se la maggioranza fosse costituita da individui `normali’ o `egoisti’.
PS. Come dovrebbe risultare evidente al lettore attento, le considerazioni che precedono non vogliono né giustificare l’evasione, né sostenere che non si debba combattere il fenomeno con energia e decisione.
Quello che si vuole sostenere è che le regole dell’economicità vanno rispettate anche in questo caso, a meno che non si attribuisca valore ‘sociale’ alla soddisfazione. [spacer height=”20px”]
Antonio Martino, Il Giornale 11 marzo 1977