L’ordine economico non sortisce soltanto dalle decisioni giuste, dalle scommesse riuscite, dalle aspettative che hanno trovato conferma. E figlio parimenti degli errori, dei fallimenti, degli aggiustamenti di rotta. Quando, citando Joseph Schumpeter, si parla di «distruzione creatrice», si intende grossomodo questo.
Nel 1985, incalzato dalla concorrenza della Pepsi, il management della Coca-Cola tentò l’inimmaginabile: ritirare dal mercato la bevanda pin amata del pianeta sostituendola con una New Coke che era stata molto apprezzata da quanti erano stati coinvolti nei test d’assaggio. La vita della «nuova Coca-Cola» durò poco più di tre mesi: dal 23 aprile al 10 luglio 1985. Nonostante la Coca-Cola avesse fatto ingenti investimenti pubblicitari per spianare la strada al nuovo prodotto e a dispetto di tutte le indagini di mercato, ci fu subito un devastante effetto nostalgia.
I consumatori mal sopportavano l’idea che il soft drink con cui erano cresciuti e cui erano affezionati scomparisse dal mercato. Cosi, la Coca-Cola fece marcia indietro e tornò alla ricetta classica, per quanto leggermente modificata (allo zucchero di canna venne sostituito lo sciroppo di mais). Il lancio della New Coke si risolse in uno spreco di risorse, dal punto di vista dei manager e degli azionisti della Coca-Cola.
Ma quello spreco di risorse si rivelo anche un’opportunità di apprendimento: insegnò qualcosa, alla Coca-Cola ma anche ai suoi concorrenti, a cominciare dalla Pepsi. In un’economia statizzata, dove è il governo a possedere tutte le risorse e a decidere come devono essere impiegate, una decisione di quel genere si sarebbe risolta in un disastro inimmaginabile: tutte le fiches a disposizione della società sarebbero finite in fumo, visto che alla roulette era uscito il nero a differenza del rosso, come avevano ipotizzato i gestori della cosa pubblica.
Anche in un’economia di mercato si spreca: ma gli errori hanno un nome e un cognome, e le responsabilità non sono annegate nel bilancio pubblico. Lo spreco non viene sprecato
In un’economia di mercato, dove non c’è né un singolo detentore né un singolo principio ordinatore di tutte le risorse della società, l’errore di una singola impresa (la Coca-Cola) diventa una lezione da cui altri possono imparare. Anche in un’economia di mercato si spreca: ma gli errori hanno un nome e un cognome, e le responsabilità non sono annegate nel bilancio pubblico. Lo spreco non viene sprecato.
La Coca-Cola ha imparato dai suoi errori, così pure la Pepsi e cosi hanno fatto gli stessi consumatori: tanto per cominciare, hanno appreso di essere più affezionati a quella bevanda di quanto non credessero. Il mercato è un testo da decifrare: ma diversi lettori ne traggono indicazioni differenti. Proprio per questo motivo, maggiore e il numero di lettori, più ampia è la divisione del lavoro, e più grande l’opportunità di imparare — tutti assieme e gli uni dagli altri — qualcosa. La varietà delle interpretazioni arricchisce il testo.
Se per ordine intendiamo un migliore coordinamento delle decisioni e dei piani degli attori economici, allora l’ordine sortisce tanto dalle decisioni giuste quanto da quelle sbagliate. Ma, perché questo avvenga, servono due cose: le regole e i rabdomanti.
Alberto Mingardi, L’intelligenza del denaro