Il dibattito politico sul governo Conte, che attinge le vette surreali della nostra partitocrazia Ancien Régime e ne mutua il vocabolario (rimpasto, rimpastino, crisi al buio, reincarico, comunicazioni alle Camere senza dimissioni, dimissioni senza comunicazioni alle Camere, appoggio esterno, delegazioni al governo, eccetera eccetera) dimostra che il nostro sistema politico funziona sempre in modo sui generis. La normalità del “governo rappresentativo” gli è quasi sconosciuta. Discutono su come e con chi ri-formare il governo con il sottinteso che però il ricambio per effetto delle elezioni generali sia assolutamente vietato dalle contingenze sanitarie ed economiche. Viene da chiedersi quale sia il senso della discussione se l’approdo ultimo a cui è preordinata non possa o non debba essere conseguito. Il “non detto” del dibattito si rivela il cuore stesso del dibattito. Un paradosso, una divagazione, una fatuità. Infatti, chi ha acceso il dibattito non è un incendiario leader deciso al “costi quel che costi”, ma un politico con piglio da contrada, un parlamentare che orgogliosamente siede nel Senato che propose di abolire, uno statista di panna montata senza guarnitura d’amarena. La questione non riguarda la politica politicante ma l’essenza del governo parlamentare; non i rapporti tra maggioranza e minoranza, ma il funzionamento della Costituzione; non la contrapposizione tra centrodestra e centrosinistra ma la “salus rei publicae”. E tutto accade mentre il Parlamento in carica, costituzionalmente parlando, non esiste più. I suoi deputati e senatori hanno deliberato di amputarlo e il popolo ha ratificato l’amputazione, sicché un terzo dei parlamentari che manovrano la politica e disputano sul governo sono moribondi, anzi: già fantasmi.
Il governo di uno Stato democratico è sempre un “pezzo di ricambio”, se ci riferiamo alle persone che lo compongono, mentre ne rimane un’istituzione strutturale la cui continuità non viene mai meno per effetto del cambiamento dei governanti che l’incarnano. La paura sventolata di restare senza governo è esagerata, anche perché i governi parlamentari sono sempre precari alla mercè delle Camere. L’arzigogolata diatriba sul governo in carica glissa sul punto centrale. Se Giuseppe Conte e i suoi ministri, tutti o alcuni, sono inadatti a governare, devono essere cambiati. E non solo perché, come ricordava spesso l’avvocato Gianni Agnelli, i cimiteri sono pieni di gente indispensabile, ma perché l’essenza del sistema politico liberale consiste appunto nel potere del popolo o dei suoi rappresentanti, democraticamente eletti, d’insediare e destituire pacificamente il governo, specialmente un governo esitante e smarrito alla prova del fuoco. Lo stato di necessità non deve diventare l’alibi per la sopravvivenza di un ministero inetto. A giustificare, anzi imporre il ricambio governativo basterebbe questo: l’articolo 43, comma 1, del codice penale: il delitto è colposo quando l’evento si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
Ogni giorno muoiono centinaia di persone a causa della negligenza, dell’imprudenza, dell’imperizia di ministri, assessori, commissari che, nell’inosservanza delle norme e del dovere di provvedere senza colpevoli indugi, ritardano la vaccinazione di massa, spesso accampando scuse vergognose agli inadempimenti. Se un guidatore distratto investe un passante e lo uccide, immediatamente con strepito viene istruito un processo e irrogata la condanna per omicidio stradale. Niente invece accade se periscono migliaia di persone che potrebbero e dovrebbero essere salvate con la tempestiva e ininterrotta e “militarizzata” vaccinazione dei cittadini, che quel vaccino hanno pure pagato con i tributi. La maggioranza è affaccendata in giochini ai quali l’opposizione non disdegna di partecipare. Nel frattempo, gl’Italiani periscono tra l’indifferenza della classe politica. E la magistratura, sempre pronta ad impugnare l’obbligatorietà dell’azione penale, volta le spalle agl’indifesi, ai deboli, ai contagiati, così vittime innocenti delle altrui colpe impunite.