Si dice di Davide Casaleggio, esattamente come del padre, che sia un «visionario», con la testa rivolta al futuro. Forse, invece, la testa del guru ereditario dei 5 Stelle è girata all’indietro. Per esempio ai tempi della Rivoluzione culturale maoista, quando le Guardie Rosse pensavano di esercitare la «democrazia diretta» con il linciaggio dei professori costretti a indossare in piazza cappelli con le orecchie d’asino e a spedire brutalmente i dissidenti nei cosiddetti campi di «rieducazione». Ora, in un’intervista concessa a Mario Giordano per “La Verità”, Davide Casaleggio dice in modo più esplicito del solito che la democrazia diretta e non rappresentativa «digitale» è l’unico futuro della democrazia e che addirittura il parlamentarismo ha gli anni contati, soppiantato dalla Rete: «Tra qualche lustro non sarà più necessario». Ma la fine del Parlamento non è una nuova forma di democrazia, è la fine della democrazia in quanto tale.
Jacob Talmon, già negli anni Cinquanta e quando la rete certamente non esisteva, elaborò la figura della «democrazia totalitaria» messa a punto da Jean-Jacques Rousseau, infatti uno dei numi tutelari del Movimento che dà pure il nome al «sacro Blog» dei 5 Stelle in cui si pretende di superare i limiti della «democrazia rappresentativa» con le cliccate di qualche migliaia di militanti allineati e fedeli al Dogma. Rousseau, stella polare delle frange più radicali del giacobinismo rivoluzionario in Francia, mise a punto un concetto misticheggiante di «volontà generale» che prevedeva solo l’unanimismo fervente del popolo indiviso e la criminalizzazione di ogni opinione dissenziente e di ogni partito separato, bollati come sabotatori del «contratto sociale». Ogni rappresentanza veniva vista come particolarismo, ogni mediazione come corruzione, ogni dissenso come un attacco alla voce del popolo, organizzata e cristallizzata nel consenso totalitario a un potere che faceva finta di non essere più potere, ma immediatezza, unanimità: democrazia diretta, appunto.
La democrazia diretta di Rousseau oliò le ghigliottine del totalitarismo. Invece il parlamentarismo moderno, dalla Gloriosa Rivoluzione inglese del Seicento fino ai nostri giorni, ha irrorato la democrazia liberale, quella vera. Vera e piena di contraddizioni, incompiutezze, incoerenze, certamente. Il paradosso attribuito a Churchill secondo cui la democrazia è il sistema peggiore sinora conosciuto, ma «tranne tutti gli altri» non è solo un paradosso. Tutti i tentativi di «democrazia diretta» che avrebbero dovuto compensare i difetti di quella rappresentativa si sono rivelati rimedi alla luce dei fatti, nelle dure «repliche della storia», mostruosamente peggiori dei mali che avrebbero dovuto guarire: a cominciare dalla mitologia dei Soviet e dei «consigli» che ha messo capo a uno dei sistemi totalitari più longevi e oppressivi fino alla scorciatoia fascista e dittatoriale delle «corporazioni» che avrebbe dovuto eliminare i particolarismi della democrazia parlamentare vituperata da una buona parte della cultura del primo Novecento.
La predicazione di Casaleggio, così proiettata su un futuro che tutti dicono «visionario», si fonda malgrado la sua patina di novità tecnologica su una concezione mistica del popolo visto come entità indivisa e con una sola voce. La democrazia rappresentativa, invece, vuole appunto «rappresentare» un popolo che non è un mostro omogeneo, ma è diviso per interessi, opinioni, idee, classi, orientamenti religiosi e il cui pluralismo si riflette nella pluralità delle sue rappresentanze parlamentari. Poi ci sono sistemi democratici in cui il Parlamento ha una funzione più centrale, altri più debole, con sistemi elettorali e istituzioni diverse, ma nella storia non esistono democrazie rappresentative senza Parlamenti. E anche i sistemi che virtuosamente applicano, con i referendum, correttivi di democrazia diretta, non si sognerebbero mai di abolire il Parlamento e la democrazia rappresentativa. Ma non esistono nemmeno democrazie «dirette» che non siano totalitarie.
Casaleggio insomma non è un precursore, ma l’ultimo seguace, dotato di maggiori strumenti tecnologici, dell’antica e classica retorica antidemocratica. Che poi, certo, la democrazia vive una crisi terribile, le sue istituzioni appaiono svuotate, le politiche economiche, il cuore di ogni politica, sono sempre più sottratte al controllo della sovranità popolare. Il meccanismo della decisione sembra inceppato, generando frustrazione, rabbia e pulsioni verso forme più «dirette» di decisionismo autoritario. Una crisi che molti paladini della democrazia si ostinano a non vedere, anzi a negare alimentando come in un circolo vizioso le smanie antidemocratiche della «democrazia diretta». Ma il Parlamento è troppo importante per metterlo nelle mani dei suoi nemici. Con la Rete o senza, nemici della democrazia tout court, da sempre.
Pierluigi Battista, “Corriere della Sera” 24 luglio 2018