“Fuori i mercati dalla Bolkestein” si leggeva ieri a Roma su un cartello di un manifestante. Sarebbe semplice ironizzare sul messaggio surreale del poster: la direttiva europea sulla liberalizzazione dei servizi che prende il nome dall’ex commissario olandese serve proprio a far entrare i mercati in alcuni settori economici finora protetti da una normativa corporativa.
Tuttavia il sarcasmo non serve: un certo atteggiamento illuministico che considera le rimostranze di tassisti, farmacisti, ambulanti, concessionari di spiagge, notai ed altri ancora come degli arroccamenti egoistici, privi di legittimità intellettuale e dannosi per lo sviluppo, non è né rispettoso verso chi comunque vede il proprio futuro messo a rischio, né — peggio ancora — si è rivelato utile a superarne le resistenze.
D’altronde, i problemi di ogni tentativo di introdurre più concorrenza nel nostro sistema economico sono essenzialmente due.
Il primo è trovare delle forze politiche che non si vergognino di difendere le idee sottostanti alle leggi di liberalizzazione. Oggi in Italia non ci sono partiti e quasi nessun politico che abbia il coraggio di spiegare senza timori perché più concorrenza, mercato e libertà di commercio siano utili per tutti. I provvedimenti che compiono qualche timido passo nella giusta direzione vengono passati di soppiatto, rinviati, edulcorati, in molti casi fortemente depotenziati, proprio come il ddl sulla concorrenza che giace da anni in parlamento.
E alla prima protesta rumorosa, come quella dei tassisti di qualche settimana fa, si odono velati mormorii per sopire, troncare, troncare e sopire ogni trambusto, come saggiamente consigliava il conte zio al padre provinciale.
Inoltre, il circolo vizioso del rinvio fa sì che non vengano nemmeno escogitate soluzioni creative per permettere a chi vede minacciato il proprio benessere economico di essere agevolato durante la fase di transizione tra un regime regolamentare e l’altro. Il tipico esempio è costituito dall’offerta che a suo tempo venne ipotizzata di regalare una seconda licenza a tutti i tassisti già in possesso di una.
Si sarebbe aumentata l’offerta di autovetture disponibili per i cittadini (rendendo meno desiderata e necessaria la presenza di Uber) e i conducenti avrebbero potuto in parte monetizzare i loro investimenti passati vendendo la licenza in più. Non una soluzione perfetta, ma un buon punto di inizio e infatti non se ne fece nulla.
Ebbene, per la direttiva Bolkestein si è ricreata la medesima situazione: l’Italia era da anni inadempiente all’obbligo che la direttiva imponeva di mettere a gara le concessioni dei venditori ambulanti (così come degli stabilimenti balneari), rinnovandole invece automaticamente e per di più a prezzi spesso stracciati.
L’effetto è stato di soffocare gli incentivi a migliorare i servizi offerti, lo Stato non ha incassato soldi da chi usufruiva a suo profitto di beni pubblici come il suolo o le spiagge, preferendo ricorrere alla tassazione generale, e si è impedito l’ingresso a chi avrebbe potuto portare innovazione o migliore qualità nei servizi offerti.
Il decreto Milleproroghe di gennaio ha spostato la data di inizio dei bandi da maggio di quest’anno al 31 dicembre del 2018 ma anche due anni sembrano pochi alle categorie interessate che vorrebbero né più né meno che la Bolkestein non venisse attuata o ritardata di decenni.
E così la politica italiana, a furia di rifugiarsi dietro alla litania “ce lo chiede l’Europa”, ha fatto sì che l’Unione venisse vissuta da molti come una cattiva matrigna e che ancora oggi non si capiscano i grandi benefici che i suoi provvedimenti di liberalizzazione portano ai cittadini. [spacer height=”20px”]
Alessandro De Nicola, La Repubblica 16 marzo 2017