Il prossimo Parlamento europeo

Il prossimo Parlamento europeo

Nel prossimo Parlamento europeo siederà una disomogenea, contraddittoria e agguerrita minoranza. Si tratta di anti europeisti che, mano a mano, si sono trasformati in diversamente europeisti. Prima non volevano l’Unione e l’euro, ora li vogliono diversi. Imprecisati. Nel profondo sono nazionalisti che indossano i panni nuovi dei presunti sovranisti. La loro presenza sarà un bene, perché a quello servono (fra l’altro) i Parlamenti, a rappresentare i diversi umori del popolo elettore. La domanda è: perché sono cresciuti?

L’Unione europea, o, come si dice in modo inesatto, l’Europa nella quale viviamo non è la migliore pensabile, non è neanche la migliore possibile, ma è la migliore che sia mai esistita. Come tutte le costruzioni istituzionali può e deve essere migliorata. Ma viviamo nel mercato più ricco del mondo e non siamo mai stati, noi europei, così sani, longevi e liberi. La strada per la costruzione dell’Unione ci sembra sempre ancora lunga, ma se ci volgiamo indietro e guardiamo con occhi storici la strada fatta constatiamo che è stata tantissima e in un tempo breve. Tanto successo non può non destare reazioni e avversari. La Russia continua il lavoro che avviò Pietro il Grande e che fu, più di recente, incarnato dall’Unione Sovietica: indebolire i confinanti. E noi siamo il più grande e ricco fra loro. Il neoisolazionismo degli Usa indebolisce la solidarietà Atlantica e allarga le divergenze commerciali. Se l’Ue fosse il fallimento che certuni descrivono né gli uni né gli altri spingerebbero con tanta forza per indebolirla e indebolirci. E noi? Se avremo presente e a cuore la nostra sovranità, sapremo superare questo momento. Il presunto sovranismo è strumento d’asservimento.

Ma occhio ai guasti interni. Classi dirigenti vili, nei vari Paesi Ue, si sono per anni nascoste fingendo che i vincoli non fossero dati dalla realtà, ma dai trattati. Troppi hanno mentito ai cittadini-elettori dicendo “ce lo chiede l’Europa” anziché “è necessario”. Pensavano d’essere furbi, poi hanno scoperto che potenze concorrenti investivano in propaganda e disinformatia utilizzando quella loro viltà. Da noi, in Italia, sembrano non averlo ancora capito, dimostrando di meritare la fine che hanno fatto e stanno facendo. Non la merita l’Italia che lavora, produce, studia. L’Italia che non ha rappresentanza. Che non ha perso la testa e ancora pensa che solo i pazzi si rifiutano di fare i conti con la realtà

Li facessimo, quei conti, ne usciremmo vincenti. Rifiutarsi, provando puerilmente a scaricare altrove le responsabilità, è la ricetta che porta immiserimento economico, sociale e culturale, oltre che a perdita di autonomia e sovranità.

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