Caro direttore, tutti gli elementi a disposizione portano a ritenere che nessuna intesa sarà possibile in questo scorcio di legislatura per il varo di una nuova legge elettorale, pur indispensabile alla luce dello sciagurato referendum costituzionale che, insensatamente, ha tagliato il numero dei parlamentari.
La Fondazione Luigi Einaudi in quell’occasione ha dato un segnale preciso, portando, praticamente da sola, oltre il 30% degli italiani a votare contro quello scempio di democrazia. Quel seme darà i suoi frutti.
E forse è possibile partire proprio da lì. Li c’è un’Italia che vuol voltare pagina.
Oggi abbiamo una sinistra che vorrebbe tenere tutto insieme, senza una visione del futuro, in nome del pericolo rappresentato dalle «destre al potere», e una destra che continua a chiedersi «che cosa è», visto che è tutto e il contrario di tutto: europeista e sovranista, garantista e giustizialista, liberista e statalista.
E poi c’è un’area centrale dell’elettorato, che potremmo definire liberale o per comodità «draghiana», su cui si incentrano le attenzioni di molti analisti politici.
Dall’osservatorio privilegiato della Fondazione Einaudi scrutiamo sogni, ambizioni e velleità di questo mondo, che pur ci appartiene. Dicevo della legge elettorale, cioè delle regole del gioco. E le regole sono importanti, anche se non determinanti. Cercherò di spiegare il perché. Determinante è esistere, indipendentemente dalle regole del gioco, che in Italia cambiano anche troppo spesso.
Primum vivere… i liberali tedeschi (Fdp) in questi decenni sono stati alternativamente al governo, presenti in Parlamento, ma anche al di fuori per non aver raggiunto la soglia di sbarramento (in Germania del 5%). Ma sono sempre loro, sono presenti e rappresentano una fetta di elettorato, anche un insediamento sociale ben individuato e indipendente dalle fortune elettorali. In Italia per tutta la cosiddetta seconda Repubblica un soggetto di tal fatta non è esistito.
Dopo questa necessaria premessa torniamo alle «regole del gioco». Siamo ben consapevoli che anche se hai undici Maradona in squadra e quando entri sul terreno di gioco trovi i canestri del basket le buschi da chiunque. Ora i liberali italiani sono in una condizione anche peggiore: hanno undici leader che si credono ognuno un Maradona e che, nella maggior parte dei casi, non sono neanche Comunardo Niccolai (ricordo solo per i più anziani). Con l’aggravante che invece di giocare di squadra non solo non si passano la palla, ma quando passa vicino un compagno gli tirano un calcione. In queste condizioni è veramente difficile costruire alcunché.
A chi quotidianamente chiede un intervento risolutivo alla Fondazione Einaudi rispondiamo sempre alla stessa maniera: siamo una fondazione culturale, vogliamo continuare ad occuparci di storia e cultura liberale, provvedano altri a svolgere il compito.
Se si dovesse palesare qualcosa di serio e credibile all’orizzonte, la Fondazione Einaudi farà la sua parte. Fornirà idee, donne, uomini, docenti, professionisti di vaglia e progetti. Lo auspichiamo vivamente. Altrimenti, faremo di tutto per assicurare comunque la presenza di una pattuglia autenticamente liberale prima nel Parlamento italiano e, successivamente, nel 2024 nel Parlamento europeo.
Non ha importanza come. Alleati con chiunque e a una sola condizione: che gli eletti si relazionino direttamente con il gruppo di Renew Europe e con il partito dei liberali europei (ALDE), inevitabilmente sempre più transnazionale. Insomma offriamo il meglio del nostro mondo a chi degli schieramenti in campo prospetterà le condizioni migliori, senza alcuna mediazione sulle nostre idee che sono e resteranno sempre le stesse: un europeismo senza se e senza ma; un garantismo intransigente; un economia di mercato in cui lo Stato faccia il suo, senza limitare concorrenza e innovazione affinché siano valorizzate le capacità di individui liberamente diseguali.
Giuseppe Benedetto
Presidente Fondazione Luigi Einaudi
Corriere della Sera