Paola Brunetti e Emma Galli
Nelle società europee assistiamo da anni ad una profonda trasformazione politica, in cui sono ravvisabili alcuni tratti comuni. Il superamento del bipartitismo e del bipolarismo e la conseguente polarizzazione degli schieramenti politici, le istanze sovraniste sono fenomeni che interessano diversi Stati, sia pure con varianti endogene, e rappresentano il sintomo di una crisi di crescita delle democrazie contemporanee.
Il sovranismo propaga temi trasversali, quali il rifiuto del multilateralismo, il contrasto all’immigrazione, l’antieuropeismo. Fino a questo momento non c’è stata una saldatura forte tra i vari movimenti populisti in Europa, come dimostrato anche dalle elezioni per il Parlamento europeo del 26 maggio 2019, ma la minaccia dei sovranismi rischia di essere rafforzata dalle conseguenze economiche e sociali della pandemia che può essere vista come uno dei risultati negativi della globalizzazione.
Le difficoltà economiche dell’ultimo decennio, a seguito delle crisi dei subprime e del debito sovrano, hanno favorito l’avvento di forze politiche contrarie alle politiche liberiste e all’ordine economico internazionale basato sulle istituzioni di Bretton Woods e sul multilateralismo. Liberismo, multilateralismo e globalizzazione sono descritti come i detonatori della crisi economica e sociale contemporanea, che nei Paesi occidentali ha colpito vari strati della popolazione, a cominciare dalla classe media.
Le statistiche internazionali evidenziano come, a livello globale, il multilateralismo abbia favorito lo sviluppo delle economie meno avanzate, promosso l’internazionalizzazione dei sistemi produttivi attraverso le catene del valore e migliorato le condizioni di vita e di lavoro di moltissimi individui. A livello dell’UE, le politiche di concorrenza hanno portato al superamento di monopoli e benefici per i consumatori in termini di miglioramento dei servizi e abbassamento delle tariffe e dei prezzi; le politiche sociali e di coesione hanno contribuito a ridurre gli squilibri territoriali; buona parte dei maggiori progetti infrastrutturali sono stati realizzati grazie a finanziamenti europei; i diversi accordi di scambio per studenti e docenti hanno favorito l’integrazione dei saperi; il green deal, una delle priorità della nuova Commissione, permetterà all’Unione Europea di diventare il primo continente a impatto zero sul clima. Tutto questo naturalmente non è avvenuto a costo zero.
Le differenze delle identità nazionali, linguistiche e culturali e la complessità istituzionale dell’Unione allontanano ingiustamente i cittadini europei dalle istituzioni sovranazionali. Nella vita quotidiana i vantaggi dell’integrazione sono acquisiti, ma non percepiti, anche perché non sempre evidenziati nella comunicazione a livello nazionale.
Per i sovranisti invece la migliore risposta alla globalizzazione, al multilateralismo, all’integrazione europea è il sovranismo, che non ha solo una componente politica (si pensi alla préference nationale in Francia e agli slogan make UK great again o prima gli Italiani), ma anche economica, con diverse declinazioni e sfumature: si va dalla richiesta di imporre i dazi alle merci concorrenziali provenienti da Paesi Terzi, alle proposte di riacquisire la sovranità monetaria, minacciata dall’euro e dalle politiche di bilancio restrittive correlate al rispetto dei parametri di Maastricht.
L’Unione Europea rappresenta da anni il bersaglio preferito dei sovranisti. Tra le battaglie politiche più significative degli ultimi anni, si possono annoverare certamente i referendum indetti in alcuni Paesi membri. In Francia e nei Paesi Bassi, i referendum per la ratifica della nuova Costituzione europea, tenutisi nel 2005, hanno espresso una maggioranza contraria all’approvazione del testo costituzionale, mentre il referendum lanciato da Cameron in UK nel 2016, ha portato alla Brexit. È interessante rilevare come le esperienze di democrazia diretta degli ultimi anni abbiano avuto un esito negativo per il processo d’integrazione europea.
Come è stato possibile che un’organizzazione sovranazionale che ha garantito per più di 60 anni pace e benessere, peraltro diffusi in ampie fasce della popolazione, e che si ispira al principio fondante dell’“Unità nella diversità” sia percepita sempre più negativamente?
Nuovi equilibri, anche istituzionali, sono sempre più necessari. La governance scaturita dal Trattato di Lisbona è complessa e farraginosa e non è funzionale ad una organizzazione sovranazionale composta da 27 Stati. Tra gli orientamenti della nuova Commissione “geopolitica” è prevista la Conferenza sul futuro dell’Europa, che dovrebbe rivedere l’impianto comunitario e dar voce ai cittadini su come affrontare le sfide interne ed esterne.
La crisi derivante dalla pandemia Covid-19 ha aperto nuovi scenari politici ed economici. L’intervento tempestivo della BCE e un primo pacchetto di misure, tra cui la sospensione del Patto di Stabilità, hanno offerto una sponda ai Governi nazionali, che necessitano di liquidità per far fronte alle difficoltà, ma altre misure saranno necessarie. Un gruppo di Paesi, tra cui l’Italia, ha proposto strumenti innovativi, come il Recovery Fund, che richiedono un maggiore coinvolgimento europeo nel rilancio delle economie nazionali, sempre più interdipendenti. Il dibattito sulla “comunitarizzazione” della crisi è molto acceso e le posizioni all’interno dei singoli Stati membri appaiono eterogenee. Le difficoltà nel definire una posizione comune rafforza le istanze dei partiti sovranisti che possono alimentare la propria propaganda attingendo al disagio sociale e alla crisi economica derivante dal lockdown. La tempistica assume pertanto un ruolo cruciale, considerato anche il fatto che il dibattito viene presentato e percepito dall’opinione pubblica come una vera e propria scelta di campo.
La crisi del coronavirus è diventata un campo di battaglia tra visioni contrapposte della società e dell’economia. Il sovranismo non offre soluzioni, ma evidenzia i disagi e si erge a tutela delle categorie più deboli, identificando nell’ordine multilaterale o nell’Unione Europea un nemico esterno da cui proteggersi. È pertanto fondamentale che anche le istituzioni dell’UE siano pienamente consapevoli di questa minaccia e si mostrino in grado di esercitare quel ruolo propulsore che in passato aveva permesso di superare difficoltà contingenti e di rilanciare il processo di integrazione.