In Iran nel mese di maggio sono stati condannati a morte 146 detenuti

In Iran nel mese di maggio sono stati condannati a morte 146 detenuti

Il mese di maggio ha visto le esecuzioni per impiccagione di almeno 146 detenuti in Iran, quasi tutti prigionieri politici, tra cui tre donne.
Una delle tre donne giustiziate era Madineh Sabzevan di 39 anni, mamma di cinque figli. È stata impiccata perché accusata di essere implicata in un traffico di droga nonostante che il 13 agosto 2017 il parlamento dei mullah, l’Assemblea consultiva islamica (Majles), avesse approvato un disegno di legge per limitare la pena di morte ai signori della droga e alle loro organizzazioni criminali e punire solo con il carcere i piccoli spacciatori.
Ma questa legge è tuttora applicata in maniera molto estensiva ed è spesso utilizzata per condannare a morte gli oppositori politici che vengono accusati di “muovere guerra contro Dio (moharebeh)”, di “terrorismo” e di “spaccio di stupefacenti” che implica la colpa di “diffondere la corruzione sulla terra (Mofsed-e-filarz)” e di essere “trasgressori dell’ordine morale”.
Dunque, anche se la maggior parte degli spacciatori di droga non sono veri contrabbandieri o capibanda, ma sono consumatori costretti al crimini per la loro dipendenza o a causa della povertà, della disoccupazione e della disperazione, spesso vengono condannati comunque a morte perché la loro vera colpa è di aver espresso pubblicamente contrarietà e opposizione al regime in loro discorsi o nei loro scritti o per aver partecipato a manifestazioni di protesta.
Tutti i giorni si assiste a sit-in di madri con i loro bambini anche molto piccoli davanti ai palazzi dei tribunali rivoluzionari degli ayatollah o davanti alle prigioni di varie città del paese.
A Tehran, come a Isfahan, a Karaj, a Sanadaj, nel Kurdistan iraniano, a Bandar Abbas e fino a Zahedan, nella regione del Belucistan, le mamme manifestano davanti ai palazzi di giustizia e alle carceri esortando le autorità a non giustiziare i loro cari.
Protestano con veemenza per il crescente numero di esecuzioni e hanno chiesto l’immediata sospensione degli ingiusti ordini di impiccagione decisi per i loro congiunti. Sfidano i colpi dei fucili dei paramilitari delle forze volontarie basij dei pasdaran; sfidano i proiettili a pallini dei fucili da caccia; sfidano i gas lacrimogeni di nuova generazione, altamente irritanti.
Il 19 maggio, a Isfahan, durante le proteste notturne contro l’esecuzione di tre prigionieri politici, circa 100 persone, tra cui 40 mamme, sono state arrestate a Tehran e trasferite nelle carceri di Evin, di Qarchak e Greater solo per aver chiesto clemenza per i loro figli.
L’esecuzione di così tante persone in un solo mese ha portato tremende sofferenze alle loro madri, alle mogli e in particolare alle famiglie dei manifestanti arrestati durante le rivolte per Mahsa Amini del 2022-2023.
Le famiglie dei manifestanti giustiziati,come quelle di Saleh Mir-Hashemi, di Majid Kazemi e di Saeed Yaghoubi, hanno sofferto molto perché i i pasdaran non hanno permesso di seppellire i loro figli. Le forze di sicurezza hanno seppellito i tre manifestanti in tre luoghi distanti e non hanno permesso alle loro famiglie di tenere alcuna cerimonia funebre.
Le autorità dell’intelligence iraniana hanno chiamato il fratello di Majid Kazemi e gli hanno detto di unirsi a loro senza dirlo a nessuno. Poi hanno portato il corpo di Majid in un luogo remoto e lo hanno seppellito in un fosso molto piccolo per lui. Hanno detto al fratello del defunto di chiamare a casa e di far sapere ai genitori dove era stato seppellito il loro figlio.
Nonostante ciò, le autorità hanno arrestato e detenuto arbitrariamente la sorella e due fratelli del manifestante giustiziato, come avvertimento mafioso mirante a costringere la famiglia al silenzio.
Per quanto riguarda il giovane campione di karate, Saleh Mir-Hashemi, le autorità carcerarie avevano assicurato a sua madre che non lo avrebbero giustiziato, ma invece lo hanno fatto. La povera mamma di Saleh ha denunciato il fatto che avevano ammanettato suo marito per impedirgli di andare al funerale e che li avevano di fatto tenuti sotto sequestrato per alcuni giorni impedendo loro di tenere la cerimonia funebre. “Hanno ammanettato suo padre, ci hanno impedito di uscire di casa, hanno portato il corpo di Saleh in un villaggio remoto e l’hanno seppellito lì. Non ci hanno permesso di tenere alcuna cerimonia”, ha denunciato la mamma di Saleh.
Sono queste tattiche di un regime mafioso per incutere terrore e impedire che la morte brutale dei manifestanti possa alimentare nuove rivolte e che le cerimonie funebri possano trasformarsi in moti rivoluzionari.
Mamme di curdi e di beluci uccisi dalle forze di sicurezza, sono loro, le donne che stanno pagando il prezzo più elevato.
All’allarmante aumento delle esecuzioni seguono tattiche del regime per prevenire lo scoppio di altre rivolte da parte di una popolazione, in particolare giovanile, insofferente, molto arrabbiata, che non ha nulla da perdere e che quindi desidera il rovesciamento del regime.
Le autorità iraniane usano anche tattiche ingannevoli per placare le rivolte come quella della finta amnistia proclamata nel gennaio 2023, quando avevano annunciato la scarcerazione a 82 mila prigionieri, 22 mila dei quali erano manifestanti. Poco dopo, però, la Magistratura ha cominciato a convocare i manifestanti che aveva precedentemente scarcerato e a rimetterli in carcere con altre accuse.
Un’altra tattica utilizzata è stata quella degli attacchi chimici alle studentesse, che sono continuati per sei mesi, per mettere a tacere le coraggiose donne che mostravano, fiere, le loro ciocche al vento.
La magistratura del regime sta ora convocando anche i giornalisti precedentemente rilasciati a febbraio, affermando falsamente di aver concesso loro l’amnistia. Tuttavia, la giornalista Maryam Vahidian è stata condannata a quattro anni di carcere.
Marzieh Mahmoudi, giornalista e direttrice di Tejaratnews, è stata condannata dal tribunale a pagare una sanzione pecuniaria di 24 milioni di toman per aver pubblicato un singolo tweet, contestando il linguaggio altamente volgare usato dal mullah Hamid Rasaii, un ex deputato, contro la libertà.
Il 20 maggio, Nasim Sultan Beigi, una giornalista ed ex attivista studentesca, è comparsa davanti al quarto ramo dell’ufficio del procuratore di Evin per difendersi dalle accuse di “propaganda contro lo stato”. La signora Sultan Beigi era stata arrestata in un aeroporto l’11 gennaio 2023 e rilasciata su cauzione il 6 febbraio scorso.
Nel frattempo, il 21 maggio, Vida Rabbani, un’altra giornalista, è stata trasferita dalla prigione di Evin all’ospedale Taleghani di Tehran per la somministrazione di cure mediche urgenti. Negli ultimi due mesi era stata alle prese con forti mal di testa, ma le autorità competenti si erano fermamente opposte al trasferimento in una struttura medica esterna.
I processi a porte chiuse a due note giornaliste, recluse dal settembre 2022 nel carcere di Evin per aver riferito della morte e della cerimonia di sepoltura di Mahsa Amini, si sono svolti presso il tribunale rivoluzionario di Tehran il 29 e 30 maggio scorso. Alle due giornaliste, Niloufar Hamedi e a Elaheh Mohammadi, non è stato permesso di incontrare i loro avvocati.
Il processo alla signora Hamedi è durato solo due ore e ai suoi avvocati difensori non è stato concesso il tempo di presentare alcuna difesa. La signora Hamedi ha respinto le accuse contro di lei, tra cui quella di spionaggio per presunta “collaborazione con il governo nemico (USA)” e di “propaganda contro lo stato”.
I manifestanti prigionieri in Iran vengono sistematicamente torturati e tenuti in celle di isolamento al buio, senza cibo e acqua; spesso sia le donne che gli uomini vengono stuprati; non hanno diritto ad un avvocato difensore né a contattare o a ricevere visite di legali o di attivisti per i diritti umani.
Si stima che dall’inizio della rivolta giovanile, dal 16 settembre 2022, dopo l’uccisione di Mahsa Amini, almeno 130 avvocati di tutte le province del Paese, tra cui dozzine di donne, siano stati convocati o arrestati dalla magistratura. Le accuse vanno dall’abuso dell’esercizio della loro professione alle opinioni espresse sui social media, considerate espressioni di “inimicizia e odio contro Dio”.
Il trend è in aumento. Nel solo maggio 2023 sono stati settanta gli avvocati convocati e arrestati. I procedimenti sono per lo più condotti dal tribunale di sicurezza che ha sede nella famigerata prigione di Evin a Tehran. Contro di essi non sono state formulate pubblicamente accuse specifiche.
Gli avvocati vengono costretti durante le udienze a firmare una “lettera di impegno” in cui si obbligano a rispettare le disposizioni della magistratura come condizione per il loro rilascio su cauzione. Nella lettera viene espresso “rammarico” per le proteste insorte a livello nazionale e l’impegno a non contattare “reti di legali o organizzazioni per i diritti umani fuori dal paese, perché considerati elementi controrivoluzionari”. Una tale pratica è considerata una minaccia alla sicurezza del paese e può essere perseguita anche con l’ergastolo o con la condanna a morte.
È questa una tattica che mira a incutere timore e ad esercitare pressione sugli avvocati, affinché non sostengano le proteste e i manifestanti.
Il regime iraniano cerca così di mettere a tacere le voci dissenzienti e di sopprimere le aspirazioni del loro popolo. Tuttavia, larghi strati della popolazione, in particolare le donne, rimangono resilienti e determinate a continuare la coraggiosa e pacifica lotta intrapresa per un futuro migliore di libertà e di democrazia.

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