“Se il ’68 fosse stato urlo di libertà quel che dovrebbe ancora bruciare sulla pelle della memoria sarebbe il fuoco che consumò Jan Palach, a Praga”, osservava il nostro Davide Giacalone in un editoriale dello scorso febbraio sul ‘68. “Estremo atto contro la inevitabilmente vincente invasione sovietica, che stroncò la primavera praghese con una repressione tanto concreta quanto immaginaria quella millantata dalle nostre parti. Ma non è così. Non è quella la memoria che si ricorda. Piuttosto la Rivoluzione culturale cinese e il libretto rosso, sventolato senza leggerlo. Altra pagina di macelleria, pagata dai liberi e dai giusti, come anche dai normali, mentre i carnefici venivano osannati da presunti militi della libertà e della giustizia.”
Vero. Jan Palach è uno dei simboli della libertà nel mondo e un monito contro tutte le dittature, spesso dimenticato nelle celebrazioni e nelle ricorrenze. A cinquant’anni dall’invasione dei carri armati sovietici a Praga, la Fondazione Luigi Einaudi ha ben a mente il sacrificio della torcia umana n. 1 e annuncia l’intenzione di recarsi, con una delegazione, a Praga il prossimo 19 gennaio per celebrare i cinquant’anni dalla morte di Jan Palach.
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