Prelievi e spese
Ad una crisi momentanea si può rispondere con provvedimenti tampone, come si sta facendo, per evitare che il prezzo dei carburanti porti fuori mercato intere filiere produttive. Ma, in Italia, la pressione fiscale è stabilmente più alta che altrove.
Serve a nulla una classe politica che non sappia far altro che annunciare nuove spese correnti e chiedere poi degli sgravi. È contraddittorio. Il nostro guaio è che il prelievo fiscale insegue la spesa, generata anche dai troppi debiti contratti, mentre si dovrebbe commisurare la spesa alle reali possibilità. La politica può dividersi su come prelevare e spendere, non sulla matematica.
I dati
Questa settimana il prezzo della benzina potrebbe toccare nuove cifre record. Il rincaro dei derivati del petrolio è molto problematico in quanto non si traduce soltanto in un aumento della spesa per le famiglie italiane, ma anche in una consistente lievitazione dei costi per il settore dei trasporti. Infatti, come mostrato dal primo grafico a fianco, nel 2019 i prodotti petroliferi costituivano il 91,4% di tutti i carburanti utilizzati nel settore dei trasporti. Al netto dei trasporti marittimi, la maggioranza di questi carburanti di derivazione petrolifera (84%) viene utilizzata per il trasporto stradale, che costituisce la principale modalità di trasporto merci in Italia.
Come apprendiamo dal secondo grafico, nel 2019 il trasporto su gomma spostava l’82,3% delle merci, sbaragliando quindi la concorrenza del trasporto marittimo (14,7%), del trasporto ferroviario (2,9%) e di quello aereo (0,1%). Il traffico delle merci in Italia, dunque, risulta fortemente dipendente dai carburanti fossili. Per questo motivo, l’aumento del loro prezzo desta numerose preoccupazioni. A causa dell’insostenibilità dei costi, l’Associazione Nazionale Autotrasportatori Professionisti (Trasporto Unito – Fiap) ha già annunciato degli scioperi destinati a creare enormi disagi su tutto il territorio.
Cosa si può fare, dunque, per dare ossigeno al settore? Tra le soluzioni percorribili a breve termine ne possiamo citare due: la prima consisterebbe in un intervento diretto sul mercato per calmierare i prezzi del carburante, la seconda in una riduzione delle accise. Tra i Paesi europei, l’Italia è infatti quello che impone i tributi indiretti più alti sui carburanti.
Come illustrato negli altri grafici, per ogni litro di benzina ci sono 73 centesimi di imposta, mentre per il diesel la quota scende a 0,62 euro. Inoltre, sul costo finale dei derivati del petrolio incide anche l’Iva, che incrementa di 0,35 euro il prezzo della “verde” e di 0,33 euro il conto per il gasolio. L’insieme delle due imposte (l’Iva si applica anche sul valore delle accise dando vita a una grottesca “tassa sulle tasse”) concorre per il 58,6% al prezzo finale della benzina e per il 55,1%a quello del diesel.
Tuttavia, sebbene l’utilizzo di misure emergenziali permetta di attraversare la tempesta navigando a vista, è necessaria una pianificazione a lungo termine per non incorrere ciclicamente negli stessi problemi.
Potrebbe essere saggio, in particolare, diversificare le modalità di trasporto merci in modo da non dipendere solo da un canale. Per esempio, il potenziamento delle linee ferroviarie permetterebbe un risparmio in termini di combustibili (i treni sono alimentati dall’elettricità) e, al contempo, aiuterebbe a ridurre le emissioni di CO2.