I tassi d’interesse continueranno a crescere, da noi in Unione europea, come negli Stati Uniti o nel Regno Unito. Sarebbe singolare che, ogni volta, si assistesse alla stessa scena vista questa settimana. Si può discutere se il rialzo dei tassi sia il rimedio migliore e più efficace al crescere dell’inflazione (negli Usa sta funzionando), così iscrivendosi a un dibattito scolastico che va avanti da decenni, ma è indubbio che i tassi europei restano più bassi di quelli americani o inglesi, nonché più bassi dell’inflazione. Ed è altrettanto indubbio che sono stati spinti fin oltre lo zero, finendo sotto, proprio per contrastare la recessione e riconquistare un’inflazione nell’intorno del 2% (eravamo ben sotto). Ora l’inflazione c’è, è stata indotta dall’esterno e i rimedi cambiano. Quel che preoccupa, sia sotto il profilo del comprendonio che sotto quello dell’onestà intellettuale, è il volere sempre vedere un solo aspetto dei problemi, facendo finta non esistano gli altri.
In Italia abbiamo molto risparmio, che è stato lungamente ed efficacemente protetto, grazie all’euro, tenendo bassa l’inflazione, ma certo non è stato premiato dai tassi portati allo zero. Qualche volta si è ingannati dall’illusione monetaria, per cui se i propri risparmi rendono il 10% si pensa di avere guadagnato, ma con l’inflazione al 20% si è perso. Eravamo messi così, negli anni ’80. Però veniamo da una stagione in cui i risparmi producevano con il contagocce e all’apparire dell’inflazione perdevano valore. Che si provi a rimediare è un bene.
L’inflazione è una brutta bestia per chi risparmia, in compenso è un cavallo alato per chi ha debiti, diminuendone il valore. L’Italia, come Paese, è molto indebitato, gli italiani, come persone, molto poco (fin troppo, poco). L’aumento dei tassi favorisce i secondi e crea un problema alla prima.
Ma c’è l’altra faccia della medaglia: aumentare il costo del denaro frena la crescita, alla vigilia di un anno, il 2023, in cui già si prevede una considerevole frenata. Vero. Ma a parte che da noi restano i tassi più bassi, i soldi che spingono la crescita sono quelli degli investimenti, mentre la crescita dei consumi è virtuosa se alimentata da salari e dilapidatrice se alimentata da sussidi che gonfiano la spesa pubblica corrente. In ogni caso, i soldi per gli investimenti ci sono eccome, sono quelli del Pnrr, che per la loro parte a prestito sono forniti ad un tasso assai agevolato. È vero che anche quelli aumentano il debito, ma prima del Draghi teorizzatore del debito buono e di quello cattivo, sarà bene dare un occhio al citatissimo e poco conosciuto Keynes, che sostenendo l’opportunità della spesa in deficit, per la crescita e la piena occupazione, era anche per il pareggio delle partite correnti. Tradotto: si fanno debiti per gli investimenti, non per i consumi (della pubblica amministrazione o privati), non per la spesa corrente.
I tassi agevolati del Pnrr non sono una decisione sovrana dell’inesistente reuccio europeo, ma il frutto della garanzia offerta da tutti i contribuenti europei, di cui l’Italia è il principale beneficiario. Dopo avere sostenuto che quella è un’occasione storica e che si era diligentemente in regola con tutti gli adempimenti, da qualche settimana si va dicendo che siamo in ritardo, non riusciremo a spenderli, ce ne vorrebbero di più, i tassi devono restare a zero, ma la gente va difesa dall’inflazione indicizzando pensioni e salari, ovvero gonfiando la spesa pubblica e, nonostante questa sia la ricetta che ci portò alla rovina in passato, pensiamo di sostenerla mandando a stendere il Meccanismo europeo di stabilità. Che è come dire: sono diabetico, ho già avuto un infarto e i reni funzionano maluccio, ma sono libero di mangiare dolciumi, fumare a piacimento, bere solo alcolici e, sia chiaro, sono contrario a che si faccia un Pronto soccorso vicino casa mia, perché non ci voglio finire. Occhio, perché chi osserva potrebbe mettere da parte i soldi per il necrologio.