Il virus passerà, il resto resterà nella memoria. Il decreto 8 marzo sarà citato ad esempio in varie riflessioni e corsi, vuoi che si occupino di comunicazione o di diritto, di sanità o di panico. Al momento va detto: quel che le autorità stabiliscono deve essere fatto e rispettato. Punto. Ma dubito che in quei futuri corsi il decreto 8 marzo troverà spazio fra i buoni esempi. Più facilmente fra gli errori da evitare.
Non discuto le misure specifiche, semmai quelle generiche. Che fa un governo in un momento di emergenza: ordina e rassicura. Sbagliando indovinando, in ogni caso prova a ordinare il da farsi e rassicurare gli animi. Nella notte fra il 7 e l’8 marzo s’è creato un caos che agita.
Il testo di un decreto del presidente del consiglio, destinato a dettare la disciplina da seguirsi, è stato diffuso in bozza. Redatto con linguaggio inappropriato, in parte sopravvissuto nella versione finale. Come, ad esempio, il “divieto assoluto”. Va bene al bar, prima di chiuderlo, non in un testo normativo, perché una cosa o è consentita o è vietata, in ogni caso non in modo assoluto o relativo. Quello è il linguaggio da comunicato stampa e, appunto, il timore è che anziché essere il comunicato funzionale alla diffusione del decreto si finisca con l’invertire il processo informativo, inserendo messaggi nelle leggi. Che agitano.
Se ci scrivo di “evitare ogni spostamento” sono nel campo delle suggestioni, non delle prescrizioni. Se poi aggiungo: “salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità”, chi legge non sa più cosa si può e cosa non si può fare. Capisce che gli stanno consigliando di stare a casa, ma per farlo non serve un dpcm. Dopo di che si chiede cosa sia un lavoro “comprovato”, mentre dubito che tutti si abbia la stessa idea di necessità. Questi sono linguaggi da conversazione, non da legislazione. Possibile che non si sappia più scrivere una norma?
A questo si aggiunga che le bozze giravano e tutti dicevano quel che passava loro per la testa, con il risultato che s’informava il pubblico di misure coercitive e coattive allo studio, provocando la notturna messa in moto non certo di tutti, comunque di troppi. Poi il presidente del Consiglio prende la parola alle due di notte, che non è proprio consueto. Né rassicurante. Proprio non si poteva fare prima, cominciare al mattino?
Ripeto, non discuto le misure specifiche, ma rilevo una collettiva dissociazione: da una parte va in onda, da due settimane, ininterrottamente, lo spettacolo della drammatizzazione; dall’altra chi lo segue poi spegne la tv e va al bar con gli amici. Allarmismo & menefreghismo. Gli incredibili, non nel senso di fenomenali, che parlano agli increduli. Finirà nei libri. E se fosse in quelli per ridere andrebbe anche bene.
Pubblicato da Formiche