Oggi è riunito il Consiglio europeo, i capi di Stato e di governo dei Paesi dell’Unione europea. Si chiuderà domani e i temi in agenda sono diversi. Due spiccano sugli altri: l’impegno al fianco dell’Ucraina e la gestione di bilancio e fondi esistenti, con sullo sfondo la possibilità di alimentarne altri mediante ulteriore debito comune. Un modo piccino e provinciale di guardare le cose consiste nel concentrarsi sul presunto “peso” dell’Italia, che è poi un modo per usare le questioni europee a fini interni. Più serio capire che non si tratta più di stabilire quanto ciascuno sia rilevante, ma quanto le decisioni prese saranno rilevanti per ciascuno. E i due temi citati sono decisivi per l’Ue e determinanti per l’Italia.
A Kiev non ci sarebbe stato motivo, nel mentre si è in guerra, per aprire questioni di avvicendamenti ministeriali. Lo hanno fatto perché la loro difesa dipende dalla solidarietà occidentale e dal procedere dell’integrazione in Ue, ponendo poi il problema Nato. Per questa ragione si adeguano alle nostre regole e Zelensky prenderà parte, da esterno, alla riunione.
È stato il governo italiano il primo e il più netto nell’affermare che l’Ucraina sarebbe dovuta entrare nell’Ue. Lo fece quando le titubanze di altri erano forti e non prive di fondamento. Draghi trascinò Macron e Scholz su un treno, verso Kiev. Attenzione, questo è un punto rilevantissimo: non è che “capeggiò” o “contò”, serve a nulla questo approccio miserrimo, ma ragionò da europeo, dentro il meccanismo istituzionale e decisionale europeo, proponendo una scelta europea. Il passato in Bce lo ha aiutato. Si è affermato un indirizzo politico che si propone come europeo, inflessibile. Non si disperda quel patrimonio, perché la riunione che comincia oggi, su quel fronte, è un nostro successo.
Le polemicuzze vernacolari dicono: i ministri dell’economia francese e tedesca sono andati negli Usa assieme e senza gli altri, senza di noi. Irrilevante, perché l’interesse che rappresentavano, ovvero che gli aiuti di Stato Usa non squilibrino la concorrenza, è comune. Questa partita si gioca pensando europeo, altrimenti resta la scopetta al bar sotto casa. Al Consiglio, però, si confronteranno punti di vista e interessi diversi. Il perdente per vocazione ci tiene a far sapere d’essersi battuto. Il vincente è disposto a tacere il proprio successo, puntando alla sostanza.
Polemizzare con l’aumento dei tassi d’interesse è da perdenti. All’Italia farebbe comodo che un’istituzione europea, per esempio il Mes, che la viltà e stoltezza impediscono ancora di ratificare, si faccia carico dei titoli del debito pubblico che, lentamente, la Bce dismetterà. Significa debito comune. I tedeschi e non solo, giustamente, fanno osservare che di quattrini ce ne sono fin troppi, in giro, e che la caratteristica dei fondi europei è che tutti ne vogliono di più, ma poi se ne spendono di meno. E qui arriva una delle richieste del governo italiano: usare quelli non spesi per potenziare il Pnrr, tenendo conto dell’inflazione. Terreno scivoloso, sul quale non faranno fatica a spingerci per poi vederci pattinare, perché è come dire: siamo stati incapaci di spendere, consentiteci di riprovarci nel mentre abbiamo un’altra montagna di fondi da investire. Non è una posizione esaltante.
Invece d’invocare flessibilità, che alle orecchie altrui suona come “incapacità”, si faccia valere che sull’Ucraina l’iniziativa fu nostra perché fu europea e su quel tema abbiamo una maggioranza politica che supera quella di governo, ben più di quel che accade in altri Paesi, mentre sul Pnrr l’impostazione si deve a un governo sostenuto da quasi tutti e l’inflessibile impegno a realizzarlo richiede solo d’essere accompagnato dalla collaborazione della Commissione Ue. Nel frattempo ricordando che sia per l’Ucraina che per i conti, la difesa comune europea passa dall’industria europea della difesa. E la nostra è forte. Il solo modo per portare a casa dei risultati è pensare europeo. Inflessibilmente.