Ragazzina di 14 anni violentata e uccisa dai pasdaran, si era tolta il velo in classe come segno di protesta
TEL AVIV. Un gesto da adulta e da rivoluzionaria, togliersi il velo in classe in segno di solidarietà con le proteste che scuotono il suo Paese da oltre tre mesi, è costato la vita a una 14enne iraniana di Teheran, di nome Masooumeh. Dopo essere stata identificata attraverso le registrazioni delle telecamere di sorveglianza all’interno della scuola, l’adolescente è finita in custodia. Fino a quando, trasferita in ospedale per gravi lacerazioni vaginali, è morta. A riferirlo al New York Times è stato Hadi Ghaemi, direttore del Center for Human Rights in Iran, che ha anche espresso preoccupazione per la madre della ragazzina, scomparsa dopo aver minacciato di denunciare l’accaduto.
«L’Iran usa lo stupro per imporre la modestia alle donne», denuncia Nicholas Kristof, editorialista e vincitore di due premi Pulitzer, dalla sua rubrica sul NYT. Le Ong Human Rights Watch e Amnesty International hanno documentato, in modo indipendente, diversi casi di violenza sessuale. «Come le forze di sicurezza iraniane usano lo stupro per reprimere le proteste» è il titolo di una recente inchiesta della Cnn, contestata in cinque punti in un thread su Twitter dall’account dell’agenzia di stampa della Repubblica Islamica Irna. Espulso da una commissione delle Nazioni Unite per i diritti delle donne, il governo di Teheran ha contestato il provvedimento anche attraverso le dichiarazioni della sua vice presidente per gli Affari delle Donne e della Famiglia, Ensiyeh Khazali, che è andata al contrattacco accusando Europa e Stati Uniti di violare i diritti umani.
Ma la storia di Masooumeh ricorda altre morti tragiche di adolescenti iraniane, come la 16enne Nika Shakarami. E di altre donne, abusate e torturate mentre erano in custodia o in carcere per motivi legati alle proteste anti-regime, come la dottoressa 36enne Aida Rostami che curava clandestinamente i manifestanti. «Quanto sta avvenendo in queste settimane in Iran supera ogni limite e non può, in alcun modo, essere accantonato», è stato l’addolorato appello del presidente Sergio Mattarella in un messaggio alla conferenza degli ambasciatori alla Farnesina.
Sono giovani e giovanissime le iraniane coraggiose che si espongono in prima linea. La studiosa delle immagini nei movimenti politici, Parichehr Kazemi, ha pubblicato su The Conversation un’analisi delle fotografie delle proteste in corso nel Paese da oltre tre mesi, all’intersezione tra movimento sociale e rivoluzione. Li definisce scatti «potenti e coinvolgenti» perché giocano su diversi elementi di sfida, attingendo «a una storia più lunga di donne iraniane che scattano e condividono foto e video di azioni considerate illegali, come cantare e ballare per protestare contro l’oppressione di genere» e si basano «sugli sforzi di resistenza passati e su una tradizione di resistenza al governo».
E dopo gli avvertimenti sollevati giorni fa da Amnesty International riguardo all’imminente esecuzione del rapper 24enne Saman Seydi, in arte «Yasin», condannato a morte in prima sentenza dal tribunale, diverse fonti hanno divulgato ieri la notizia che il ragazzo avrebbe tentato di suicidarsi nella prigione Rajaei Shahr di Karaj con un’overdose di pillole. L’agenzia degli attivisti per i diritti umani ha fatto sapere che Seydi è ricoverato nell’infermeria del carcere e attribuisce il gesto del cantante alle torture fisiche e mentali che avrebbe subito anche per strappargli la confessione con cui è stata emessa la sua condanna a morte. Il ragazzo era apparso provato fin dalla prima udienza. Mentre il giudice leggeva le accuse contro di lui, è stato ritratto in foto in lacrime, con la testa tra le mani. I genitori hanno tentato di ottenere il suo rilascio. La madre aveva pubblicato un appello video chiedendo aiuto per il figlio e il padre, in un posto su Instagram, aveva scritto: «Figlio mio Saman, quando guidavi la moto ero preoccupato che ti facessi male. Ma ora non so cosa fare. Non so come potrei continuare la mia vita senza di te».