Non c’è da vestire a lutto per il trapasso, con la legislatura, dello ius soli. Anzi, intravedo una opportunità. Di merito e di metodo.
La prossima legislatura s’annuncia poggiata su un terreno scivoloso, con gli astanti alacremente impegnati a insaponarlo ulteriormente, ma il tema della cittadinanza potrebbe ben essere quello su cui battere gli opposti isterismi.
Fin qui piazza frequentata solo da piazzaioli propagandisti, potrebbe ospitare un sano ritorno alla ragione.
Servirebbe che i ragionevoli, che ci sono fra gli elettori e si vedrà se sopravviveranno fra gli eletti, individuassero cinque minimi denominatori comuni. Sul resto ci si potrà dividere e anche scontrare, ma se su quelli si converrà il risultato sarà migliore di quello che oggi (non) era agguntabile.
1) Nessuno ha mai veramente proposto uno ius soli, sicché si abbia la cortesia di archiviare quel nome e quella bandiera fra le propagande mal concepite e autolesioniste.
Assieme alla ridenominazione si abbandoni anche il tono moralistico di chi cerca di spiegare agli oppositori che per il solo esserlo sono tutti degli incivili. Sarebbe bello si evitasse anche d’essere palesemente incivili pur di raccattare qualche consenso, ma questo, forse, è pretendere troppo.
2) I diritti degli stranieri che si trovano sul nostro suolo nazionale esistono di già. Da molto tempo. E visto che la Costituzione ha fatto 70 anni è il caso che tanti trovino il tempo di leggerla, almeno una volta nella vita. Particolarmente protetti, come è giusto che sia, sono i diritti dei minorenni.
Se vogliamo raccontarci che il grosso problema consisteva nel consentire loro di iscriversi ai campionati sportivi (non di giocare, ma di iscriversi a un campionato) possiamo pure continuare a vaneggiare, ma salute, assistenza e istruzione erano e sono già garantiti. E non sono in discussione.
3) Quei diritti, come le procedure per l’acquisizione della cittadinanza, non devono essere inventati e neanche scritti ex novo, vanno aggiornati. La legge ha bisogno di manutenzione, perché è la realtà che regola a essere cambiata.
4) Nessun cittadino italiano può essere sottoposto alla potestà di chi non risponde alle leggi italiane. Un minore non può essere cittadino italiano se chi esercita la patria potestà non è sottoposto a un ordinamento omologo.
Non è questione di bontà o cattiveria, ma di logica e diritto: se a un cittadino italiano si nega la libertà di culto è lo Stato, con la sua forza, a dovere intervenire e ripristinare il diritto; chi ne esercita un altro, derivante dalla genitorialità, deve rispondere al medesimo sistema giuridico, altrimenti torniamo all’era dei bambini rapiti per ragioni di (presunta) fede.
Pagina pessima, in cui la cattolicità diede dimostrazione d’insensibilità e malvagità (uno per tutti: il caso Mortara). Capovolgere quei precedenti non è un passo in avanti, ma un ritorno indietro. Il che vale per ogni altro diritto.
5) Nell’aggiornare il diritto di cittadinanza ci si ricordi che quella vigente è sì nazionale, ma anche europea, quindi si proceda da una parte promuovendo e reclamando un effettivo e profondo coordinamento, meglio ancora una uniformità, continentale; dall’altra legiferando avendo in mente quel più vasto confine.
Cinque punti che non esauriscono l’intero problema, lasciando spazi a visioni diverse e, quindi, a possibili scontri. Che sono la normalità. Ma che toglierebbero il tema dalle mani degli opposti isterismi, segnalando il ritorno all’uso della ragione.
Davide Giacalone, 28 dicembre 2017