In occasione dei Cinquant’anni dalla morte di Jan Palach e della prossima iniziativa della Fondazione Luigi Einaudi per ricordarlo, ecco alcune considerazioni del presidente Giuseppe Benedetto sulla “torcia umana” e sulla portata del suo gesto
“Di antichi fasti la piazza vestita, grigia guardava la nuova sua vita: come ogni giorno la notte arrivava, frasi consuete sui muri di Praga. Ma poi la piazza fermò la sua vita e breve ebbe un grido la folla smarrita, quando la fiamma violenta ed atroce, spezzò gridando ogni suono di voce”.
È la strofa di una delle più belle canzoni di Francesco Guccini. La fiamma era Lui, il giovane praghese, studente di filosofia, Jan Palach. In un mondo che non ha più simboli, o ne ha troppi e dunque fragili, quindi inutili, Lui è uno dei pochi che unisce tutti coloro che amano la libertà e la vita.
Ma come si dirà, simbolo di vita chi si è ucciso?
Rispondo con le parole del teologo cattolico Zverina che lo difese, affermando “un suicida in certi casi non scende all’Inferno” e “non sempre Dio è dispiaciuto quando un uomo si toglie il suo bene supremo, la vita”. Sono riflessioni che colpiscono, credenti e non.
Il pomeriggio del 16 Gennaio del 1969, con una impressionante lucidità, ebbe cura di lasciare poco lontano dal rogo del suo corpo una borsa con i suoi scritti.
Tra questi il suo testamento politico: “Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l’abolizione della censura e la proibizione di Zparvy (il giornale delle forze d’occupazione sovietiche). Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s’infiammerà”.
Il gesto di Jan Palach non rimase isolato: almeno altri sette studenti, tra cui il suo amico Jan Zajíc (la “torcia numero due”), seguirono il suo esempio. Ecco Jan tu sei nel paradiso degli uomini liberi. Vivo per la vita ad imperitura memoria. I tuoi carnefici bruciano all’inferno dell’oblio.
Giuseppe Benedetto
Intervista a Jan Palach prima della morte