Roma. Il mese scorso, il nome della Stanford Law School è stato trascinato nel fango da studenti che hanno schernito e insultato Kyle Duncan, giudice conservatore della Corte d’appello degli Stati Uniti. Il preside della scuola di diritto ha detto che il giudice “ha causato danni con il suo lavoro”. Ma, a merito di Stanford, il preside è stato messo in congedo e Duncan ha ricevuto una lettera di scuse dal rettore, Marc Tessier-Lavigne. Poi un’altra prestigiosa università, la Cornell, ha detto no ai trigger warning, gli avvisi censori che dilagano in molti atenei.
La riscossa del free speech in America partirà da Harvard, che è sempre fra le prime cinque migliori università d’America, ma scivolata al 170esimo posto su 203 università nella classifica del Free Speech Rankings? “Harvard è solo un’università, ma è la più antica e famosa della nazione e, nel bene e nel male, il mondo esterno prende atto di ciò che accade qui”. Con un articolo sul Boston Globe, il grande linguista di Harvard Steven Pinker, il teorico dell’èra dell’ottimismo, lancia una nuova organizzazione accademica per la libertà di parola: “Le università stanno reprimendo le divergenze di opinione, come le inquisizioni e le purghe dei secoli passati. Ci sono video virali di professori assaliti, esecrati, messi a tacere e talvolta aggrediti. E peggio ancora, per ogni studioso che viene punito, molti di più si autocensurano, sapendo che potrebbero essere i prossimi. Non va meglio per gli studenti, la maggior parte dei quali afferma che il clima del campus impedisce loro di dire cose in cui credono”.
Il nuovo gruppo per la libertà accademica è composto dall’ex rettore di Harvard e segretario al Tesoro Larry Summers, l’ex preside della Facoltà di medicina di Harvard Jeffrey Flier, la professoressa di Diritto Jeannie Suk Gersen, l’economista Gregory Mankiw, il professore di Etica sociale Mahzarin R. Banaji e il professore di Storia intellettuale islamica Khaled El Rouayheb, dunque da tutto lo spettro ideologico. Contro i banditori di libri, parole e idee, woke e populisti, il gruppo chiede di ritrovare la terra di mezzo del free speech. “L’unico modo in cui la nostra specie è riuscita a imparare e progredire è attraverso un processo di congetture e confutazioni: alcune persone azzardano idee, altre provano se sono valide e alla lunga prevalgono le idee migliori”, scrive Pinker. Secondo il linguista, c’è invece oggi un meccanismo perverso nelle università: “Un gruppo di attivisti disposto a non fermarsi davanti a nulla; un arsenale in espansione della guerra asimmetrica compresa la capacità di interrompere gli eventi, di radunare folle fisiche o elettroniche sui social e la volontà di infangare con accuse paralizzanti di razzismo, sessismo o transfobia; una burocrazia esplosiva e la riduzione della diversità politica dei docenti che minaccia di bloccare il regime accademico per le generazioni a venire”.
Il Wall Street Journal commenta infatti che “i conservatori sono così pochi nelle università che la battaglia per ripristinare un dibattito libero e aperto dovrà essere guidata da quelli che un tempo erano noti come liberali tradizionali”. Come nel caso di J. K. Rowling, della lettera su Harper’s contro la cancel culture e Salman Rushdie, saranno loro a decidere le sorti di questo conflitto ideologico.