“L’Italia sarà pure la culla del diritto, ma la creatura non è mai cresciuta” (Minutatim, pagina70). Esistono leggi, regolamenti parlamentari, sentenze costituzionali che vieterebbero la presentazione di emendamenti di contenuto estraneo all’oggetto dei decreti legge. E per la verità pure il capo dello Stato dovrebbe vigilare affinché, nell’autorizzarne la presentazione, non vengano trasmessi alle Camere decreti legge eterogenei, nei quali siano affastellate le più disparate materie. Questo sulla carta. Per contro i decreti legge cosiddetti omnibus non sono rari. Tuttaltro. Circolano nell’ordinamento italiano con la connivenza dei governanti e dei legislatori, per necessità o per comodità o per interesse. Quando esiste un accordo politico, sia governativo, sia consociativo tra maggioranza e opposizione, quei divieti vengono piegati a contingenze superabili e a ragioni irragionevoli alla luce del diritto vigente. Il decreto legge diventa così il mezzo comodo e rapido per veicolare alla bisogna le norme oggetto dell’accordo, tra reticenze, distrazioni, compromissioni. Se ne deduce che, in siffatte circostanze, una forza superiore, accomunante forze altrimenti contrapposte, plasma e sostiene l’emendamento fino all’approvazione definitiva. L’ordine giuridico risultante, che in circostanze ordinarie non sarebbe risultato affatto, anzi ferocemente avversato, riceve il plauso che andrebbe riservato agli atti di Stato compiuti nell’esclusivo interesse della nazione. Se ne intuisce il perché. Più si discosta dal diritto l’atto che di Stato non è, più devono essere allegati a sua giustificazione motivi eccezionali che eccezionali non sono. Un fatto resta antigiuridico benché avallato dalle migliori intenzioni, quando esistono davvero.
È parte integrante del contesto il profilo europeo, che è pure determinante. Se la “Curia”, il nobile nome romano che campeggia sulle decisioni della Corte di giustizia dell’Unione europea, ha deciso una vertenza tra due soggetti giuridici di cittadinanza europea, può lo Stato del soggetto soccombente inficiare la sentenza con un emendamento per di più inammissibile anche in base al suo ordinamento interno? Lo Stato di diritto, posto giustamente a pilastro dell’Europa unita, può pervertirsi in “Stato del dritto” nelle controversie interne ad una nazione confederata? Sono interrogativi che persino la stampa libera sembra non porsi, mentre la politica, quasi tutta, vibra di orgoglio nazionalistico mal riposto. A parte i trattati che garantiscono a cittadini, imprese e capitali di muoversi liberamente in Europa e a parte i quotidiani lamenti ipocriti sulla scarsità degli investimenti esteri in Italia causata dall’incertezza del diritto, per l’appunto. Questa emblematica vicenda è qui annotata a futura memoria, non solo perché, come scriveva Leonardo Sciascia, forse la memoria ha un futuro ma anche perché in futuro nessuno dovrà rimproverarci d’aver taciuto. Amicus Plato, sed magis amica veritas.