Bene ha fatto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a sottolineare, nel suo discorso tenuto durante la visita in Polonia, che “l’aggressione russa riguarda tutti i paesi che si richiamano alla libertà delle persone e dei popoli”. Ed è decisivo, va aggiunto, per la sopravvivenza stessa dell’Unione europea. Da come si concluderà la barbara aggressione scatenata dalla Russia di Putin nei confronti dell’Ucraina dipenderà se il mondo di domani sarà più o meno favorevole al perdurare del progetto di un’Europa unita. Nel mondo che ci aspetta, l’Unione rappresenterà ancora l’avanguardia di una tendenza verso la progressiva affermazione della supremazia della legge sulla forza, oppure sarà invece l’anacronistico residuo di un trend declinante, un esperimento destinato a estinguersi perché “unfit to survive”?
E’ tutta qui la questione. Ed è un punto che travalica e trascende qualunque considerazione sulla necessaria “autonomia strategica dell’Unione”, perché ci smuove da quella sorta di “comfort zone” nella quale troppe considerazioni sull’atteggiamento europeo nei confronti della guerra sembrano illudersi di potersi rintanare. Se il mondo che verrà sarà o meno ospitale nei confronti del progetto europeo dipenderà anche dalle decisioni che oggi sapremo assumere e dalla fermezza che sapremo mantenere riguardo ai nostri princìpi. Viviamo già in una realtà che è costituita di scatole cinesi (o di matrioske, se si preferisce un’altra immagine) in cui la sicurezza e le prospettive delle singole democrazie nazionali dipendono in maniera strutturale dalla saldezza delle istituzioni europee e dalla tenuta del Patto atlantico. Ma di cinese o di russo, queste scatole e queste bamboline non hanno proprio nulla, perché la loro natura è totalmente occidentale.
La sfida che i dispotismi hanno lanciato alle democrazie liberali non riguarda la continuità dell’interdipendenza planetaria, ma le modalità e i princìpi in base ai quali essa verrà governata. Stiamo già sperimentando le difficoltà che incontra l’Unione europea – la più audace novità istituzionale dopo quella dello stato costituzionale teorizzata da Montesquieu a metà del XVIII secolo – nell’ambito di un sistema internazionale che resta ancora definito dall’egemonia dell’ordine liberale. Qualcuno può forse illudersi che tali difficoltà diventerebbero meno gravose da affrontare all’interno di un ordine ispirato ai princìpi del dispotismo? Credo sarebbe difficile poterlo argomentare.
Contrapporre l’europeismo all’atlantismo non significa solo ignorare e falsificare la storia, che ha visto il primo potersi trasformare in realtà al riparo della protezione offerta dal secondo. Implica anche ipotecare la sopravvivenza del “nostro mondo”, e gettare le premesse di un fallimento dal quale potremmo non risollevarci. Il nostro mondo non è minacciato dalla sostituzione etnica o da altre bufale strampalate che rivelano l’incapacità di liberarsi dai residui tossici di una subcultura fascistoide. E neppure lo è da nessuna nuova edizione del vecchio rottame del complotto “demoplutogiudaicomassonico”, che oggi si pretenderebbe incarnata da George Soros. Il nostro mondo – e i valori e i princìpi che lo rendono possibile – è sottoposto all’attacco dei dispotismi dei loro disvalori, che vorrebbero rigettarci in un girone dantesco fatto di violenza e sopraffazione dal quale siamo riusciti a liberarci a costo di immani sacrifici ridefinendo l’essenza dell’occidente nella triade costituita da democrazia rappresentativa, economia di mercato e società aperta.
Questa è la minaccia esistenziale che stiamo fronteggiando. Questa è la posta in gioco in questa guerra in Ucraina: una posta in gioco non diversa da quella che le democrazie dovettero affrontare nella lotta contro i totalitarismi che, nel 1939, sfociò nella Seconda guerra mondiale e che vide, per nostra fortuna, soccombere la Germania nazista e l’Italia fascista sua alleata. Una lotta che sembrò definitivamente vinta nel 1991, con il crollo del totalitarismo sovietico e che invece oggi si ripropone in una nuova e più difficile fase. In questa terza fase, l’Europa unita è chiamata, nella sua inedita e articolata soggettività politica, a dimostrare di volere e poter fare la differenza, per consolidare il suo – ovvero il nostro – futuro.