La fine del pensiero, di Cangini la tredicesima lezione della Scuola di Liberalismo

La fine del pensiero, di Cangini la tredicesima lezione della Scuola di Liberalismo

Il pensiero, inteso come facoltà individuale e come elaborazione “politica” della realtà, per svilupparsi ha bisogno di riferirsi a un contesto sociale, ma tutti i contesti possibili appaiono oggi in crisi: la famiglia, la religione, i partiti, i parlamenti, i giornali. E le persone sono sempre più inclini a fuggire dalla realtà.

È l’incipit che Andrea Cangini, questa sera non in veste di giornalista ma di docente, ha dato nella sua lezione, “La fine del pensiero”, tredicesimo appuntamento della Scuola di Liberalismo 2024 della Fondazione Luigi Einaudi.

“Viviamo in un periodo in cui si diffondono facilmente sottoculture semi ideologiche sottratte ad ogni pensiero perché estranee al senso della Storia e della tragedia, come la sottocultura woke e la cancel culture”, ha detto. “Con Burke, con Tocqueville, con John Stuart Mill abbiamo trascorso due secoli paventando il rischio di una dittatura della maggioranza, per ritrovarci oggi passivamente sottomessi alla tirannia delle minoranze. Una situazione paradossale”.

Ad aggravare il quadro generale, sottolinea, ci sono “gli effetti dell’abuso di social e di tecnologia digitale sulla mente umana”. Effetti devastanti: si perdono facoltà essenziali come la memoria, lo spirito critico e la capacità di attenzione. Non si sollecita né si sviluppa l’emisfero del cervello che sovrintende al pensiero logico lineare, rimanendo così quanto mai ostaggio delle emozioni, dei pregiudizi, delle paure più cieche. Si nega la virtù del confronto, si svalutano le competenze, si piomba fatalmente in uno stato di isolamento che esalta nei più giovani ogni forma di disturbo di ordine psicologico.

“Se il pensiero, oggi, appare debole o inesistente”, ha osservato Cangini “è perché sono venute progressivamente meno le condizioni affinché questo si affermi e si sviluppi. Un problema che riguarda il presente e il futuro della società e della persona umana. Un problema che le classi dirigenti sembrano, colpevolmente, ignorare”.

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