Lo scorso lunedì 28 settembre è stata discussa alla Camera dei Deputati la mozione presentata dai deputati Meloni (FdI), Molinari (Lega), Gelmini (Forza Italia) e Lupi (Misto) concernente iniziative volte a garantire la pubblicazione dei verbali delle riunioni del Comitato tecnico-scientifico istituito dal Capo del Dipartimento della protezione civile. Quella mozione prendeva le mosse dalla Sentenza del 23 luglio 2020, con la quale il TAR Lazio, su impulso di alcuni giuristi siciliani, facenti capo alla Fondazione Luigi Einaudi, aveva obbligato il Governo a rendere disponibili all’accesso quei verbali del Comitato Tecnico Scientifico, che erano stati oggetto di specifica richiesta di ostensione da parte dei giuristi.
Quei verbali furono “desecretati” e inviati ai richiedenti, che li misero a disposizione di tutti, sul sito della Fondazione Luigi Einaudi.
La pubblicazione di quegli atti imbastì una serrata polemica nei confronti del Governo, in particolare sulla scelta adottata con DPCM del 9 marzo 2020 di serrare il Paese in un “lockdown” nazionale, nonostante il CTS avesse sconsigliato tale soluzione, avendo il 7 marzo suggerito al Governo una limitazione delle restrizioni da “zona rossa” da attuare soltanto in Lombardia ed in altre poche province di Emilia Romagna, Piemonte e Veneto. Per sedare quella polemica, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, durante un’intervista rilasciata il 9 agosto a Ceglie Messapica, ha assicurato «che quando c’è un processo decisionale così delicato io rivendico che quei verbali restino riservati. E vi annuncio che sono il primo che consentirà la pubblicazione di tutto, non abbiamo nulla da nascondere». Un’assunzione di responsabilità politica rispetto alle scelte operate ma anche una rassicurazione rispetto alla trasparenza dell’attività del Governo.
Il 4 settembre, a distanza di quasi un mese da quell’annuncio, sul sito della Protezione Civile sono stati pubblicati i primi 100 verbali del CTS, ovvero quelli riguardanti il periodo 7 febbraio-10 agosto 2020. A discapito delle premesse governative, però, i verbali del CTS non sono stati pubblicati integralmente, bensì infarciti di omissis e cancellature che non consentono l’esercizio di quella attività di controllo generalizzato, che era stata riconosciuta con la sentenza del TAR Lazio. Le domande che, a questo punto, sorgono prepotentemente sono: se l’obiettivo della pubblicazione dei verbali è quello di rendere trasparente l’operato del Governo, a cosa servono gli omissis? Quali sono gli interessi che meriterebbero di essere tutelati con gli omissis a discapito del diritto dei cittadini italiani di avere accesso a tutte le informazioni riguardanti la gestione scientifica, politica e amministrativa della pandemia da Covid-19? Chi ha deciso di apporre quegli omissis ai verbali del CTS e in base a quale potere? Interrogativi legittimi che tuttavia non trovano riscontro negli atti pubblicati e che fanno emergere più di qualche dubbio sulla reale intenzione del Governo, di conformare ai principi di trasparenza la propria attività amministrativa.
In questi giorni è nuovamente tornata di stretta attualità la questione della proroga dello stato di emergenza, disposto per la prima volta il 31 gennaio di quest’anno e già prorogato dal Consiglio dei Ministri fino al prossimo 15 ottobre, con delibera del 29 luglio. Nelle motivazioni della delibera di proroga dello stato di emergenza del 29 luglio si leggeva che la necessità di prorogare quella condizione straordinaria fosse necessaria per garantire la continuità degli interventi allora in corso “per il superamento del contesto di criticità” e per “adottare le opportune misure volte all’organizzazione e realizzazione degli interventi di soccorso e assistenza alla popolazione di cui al decreto legislativo n. 1 del 2018, nonché di quelli diretti ad assicurare una compiuta azione di previsione e prevenzione”. Cosa abbia fatto il Governo per dare seguito a quelle necessità e quali siano state, al riguardo, le indicazioni del Comitato Tecnico Scientifico non è dato saperlo. La pubblicazione degli atti del CTS si ferma al 10 agosto e quindi non possiamo sapere quali siano oggi gli “interventi in corso per il superamento delle criticità”, né quali dovranno essere le “ulteriori misure organizzative per il soccorso e l’assistenza alla popolazione” individuate dal CTS.
Da una parte il Governo vuole prorogare lo “stato di emergenza” ma dall’altro non solo non rende noto cosa abbia fatto fin qui per evitare la proroga ma nemmeno cosa abbia intenzione di fare per evitare che di proroga in proroga lo “stato di emergenza” divenga una prassi amministrativa accettata come normale dalla popolazione. Il rischio, in questo caso, non è solo la terribile pandemia da Covid-19, il rischio è lo slittamento sul terreno scivoloso dello Stato di Diritto, sul quale ogni distrazione può essere fatale. L’interventismo sanitario ed assistenziale dello Stato, promosso dal Governo di Giuseppe Conte, attraverso l’impiego massivo di DDPCM, per potere essere sostenuto nell’ambito di un Ordinamento Giuridico che non vuole rinunciare ad essere manifestazione di uno Stato di Diritto, deve necessariamente essere temporalmente circoscritto. Non si deve essere seguaci di Friedrich von Hayek o di Luigi Einaudi per sostenere che il ruolo principale dello Stato è il mantenimento dello Stato di Diritto. Con uno Stato di Diritto in perenne ostaggio di uno “stato di emergenza”, i cittadini non potranno esercitare quelle libertà e quei diritti che la nostra Costituzione riconosce come inviolabili, a partire proprio dal diritto alla salute, che è quello che in questo momento si vorrebbe più tutelare.
E così, la mozione presentata dalla minoranza parlamentare non è stata accolta dalla maggioranza, che anzi l’ha contestata e minimizzata. L’on. Stefano Ceccanti (PD), intervenendo in aula ha minimizzato l’importanza della pubblicazione degli atti del CTS ma soprattutto ha definito la richiesta di trasparenza, sostenuta nella mozione della minoranza, come un «mito semplicistico», che può «disorientare e creare problemi immediati», aggiungendo anche che è «il Governo che prende le decisioni, il Governo, che è responsabile verso il Parlamento, finché ha la fiducia, e che non può non avere un margine di discrezionalità nei tempi di divulgazione». A chi formula queste osservazioni nella maggioranza parlamentare, bisogna ricordare che l’Italia è una repubblica parlamentare, la funzione legislativa è esercitata dalle due camere del Parlamento (art. 70 Cost.) e non dal Governo e che la libertà personale è inviolabile e potenzialmente coercibile soltanto per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge (art. 13 Cost.).
Un’impostazione verticistica dello Stato, con la centralizzazione decisoria in capo al Governo, non è in linea con la nostra Costituzione, a nulla rilevando che il Governo abbia la fiducia del Parlamento, giacché la fiducia attiene alla legittimazione politica del Governo, mentre la centralità del Parlamento afferisce alla forma di stato e garantisce, mediante la rappresentanza della nazione, la difesa dello Stato di Diritto.
In frangenti come quello attuale, il ruolo della minoranza parlamentare è fondamentale quale presidio critico, così come fondamentale è il ruolo dell’opinione pubblica, al fine di evitare che la dovuta e tempestiva trasparenza amministrativa possa essere considerata un “mito semplicistico” e non per quello che invece è: un preciso dovere del Governo e dello Stato, nei confronti dei cittadini, sancito dalla Costituzione. Non è una questione di merito delle scelte del Governo, è una questione di metodo: la trasparenza è tale solo se è tempestiva, ogni intempestività, soprattutto al di fuori di chiari perimetri normativi e costituzionali, è arbitrio autoritario, che sgretola pericolosamente lo Stato di Diritto.