Il salone del libro di Torino ha riproposto un antico dilemma: può la libertà consentire che la si attacchi? Nel caso di risposta positiva emerge una debolezza della libertà, che per non contraddirsi si estende fino ad allevare i propri nemici. Nel caso di risposta negativa, appunto, un’incoerenza, tanto più che si dovrebbe stabilire chi decide chi sono i nemici da tacitare, ovvero offrirgli le chiavi con cui chiudere la libertà fuori dall’uscio di casa propria.
Dilemma antico, che in Italia si ripropone in relazione a quanti si richiamano, o credono di richiamarsi, al regime fascista: può, in democrazia, essere tollerato chi è seguace della tirannia? (Una sola?) Un colorito fronte che si richiama, o crede di richiamarsi, all’antifascismo e pronto a rispondere: no, si deve difendere la Costituzione.
Cosa di cui sono profondamente convinto. Come anche che la Costituzione non sia mai stata letta da non pochi fra quanti la difendono, come da numerosi fra quelli che vogliono cambiarla. Perché, a ben vedere, quel dilemma è risolto dalla XII disposizione transitoria e finale: “In deroga all’articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall’entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista”. Non per chi fu fascista (buona notte, si sarebbe coinvolta la grande maggioranza degli italiani), ma per i capi. I gerarchi. Nel 1947, con l’Italia in macerie, si pensò che un tale divieto potesse durare, al massimo, fino al 1953.
Che nel 2019 una casa editrice non possa partecipare a una esposizione, quindi, sembra servire solo a dimostrare che con i libri ci si fa di tutto, tranne leggerli. Fermo restando la libertà di criticarli, anche ferocemente. Dopo averli letti.