La politica civile è in ritardo permanente su scienza e tecnologia

La politica civile è in ritardo permanente su scienza e tecnologia

Intendo illustrare una spiegazione verosimile di un dato oggettivo: il divario temporale tra i continui  progressi della scienza e della tecnologia, e  le pasticciate difficoltà nella confusa politica del convivere, spesso scarsamente produttiva. Il nocciolo di tale divario ritengo stia nel differente utilizzo  –nella scienza e nella tecnologia rispetto a quelli nella vita politica del convivere – degli apporti forniti dai cittadini individui.

Scienza e tecnologia, da circa tre secoli, fanno crescere in sostanza di continuo la conoscenza del mondo e la disponibilità di strumenti forieri di vita migliore. Il come stanno le cose nel mondo viene man mano compreso, seppur tardivamente e all’ingrosso,  anche nella vita politica civile. Però, nella vita politica, vale a dire nel settore convivere ed istituzioni, il modo d’essere dei cittadini è parecchio appesantito dalle prassi millenarie  del vivere insieme. Per cui il cittadino finisce per interessarsi non al comprendere il mondo bensì al riconoscersi negli usi comuni e in ciò che esprime il libro sacro di riferimento, ritenuto superiore ed eterno.

Pertanto i cittadini, nel valutare le istituzioni, le proprie scelte, le iniziative da assumere, privilegiano il consenso da ottenere nel gruppo di appartenenza e il  proprio capriccio del momento, senza riflettere abbastanza  sui risultati che istituzioni, scelte o iniziative stanno producendo o potranno produrre.  E soprattutto senza riflettere abbastanza a proposito di quali conseguenze avranno sugli effettivi meccanismi di funzionamento di quella libertà individuale, che  sperimentalmente è la colonna portante nel tempo di una convivenza produttiva e gratificante al meglio. Una simile riflessione insufficiente porta a sorvolare sul bisogno di conoscere non superficialmente e, ancora di più, su quello di sperimentare qualsiasi cosa.

Praticare il riflettere insufficiente, equivale a suppore che i punti focali del convivere siano due, il libro sacro religioso alla base della rivelazione di quale sia il mondo e il consenso della cerchia degli amici e degli altri. Ma nella realtà  sono due punti focali insussistenti.  E’ qui che  ha origine il divaricarsi tra politica civile e scienza quanto a capacità di incidere.

La scienza muove esclusivamente dai fatti. E ai fatti è invariabilmente connessa la riflessione scientifica, sia quando astrae, che quando immagina  il come interpretare od utilizzare i dati astratti e poi quando mette alla prova  e verifica  l’ipotesi elaborata su quei dati.  Invece, la politica del convivere non riflette abbastanza perché, rispetto alla realtà dei fatti, è occupata per lo più  ad emozionarsi e a far emozionare. Senza dubbio questa inclinazione emotiva è una parte importante della vita umana. Salvo che non può mai far dimenticare o addirittura indurre qualcuno a rinunciare  all’esercizio del proprio spirito critico. Perché lo spirito critico è fonte di singole conclusioni individuali, le quali confrontate le une con le altre e misurate in base ai conseguenti risultati complessivi, sono indispensabili al fine di conoscere. Il bivio sta qui.

Qui sta peraltro anche il bivio per le conseguenze sul liberalismo. Il liberalismo è fisiologicamente il metodo che, nel rapportarsi alle relazioni tra i conviventi e nell’indicare in ogni momento storico, con lo stare ai fatti,  quale sia l’equilibrio tra diversi adatto  a rendere fluide tali relazioni, si sforza di applicare i sistemi usati dalla scienza al fine di conoscere il mondo (ed è l’unico soggetto a farlo). Allora, quando i cittadini si distaccano dall’attribuire importanza a quei sistemi, a cominciare dall’utilizzo dello spirito critico individuale, per forza di cose si distaccano anche dal liberalismo.

Per tutto ciò, essendo cresciuta nella massa dei cittadini l’abitudine a tener pochissimo conto  dello spirito critico (basti pensare agli odierni social, che seppelliscono lo spirito critico), è perfino naturale che  l’attenzione alla cultura liberale e al liberalismo politico divenga molto scarsa.  Il divario di cui parliamo divenne rilevante più di un secolo fa e portò a finire l’epoca dei governi liberali e del peso determinante dei liberali nelle istituzioni. Da allora, in varie maniere, è proseguito il tenere il liberalismo ai margini (specie in Italia, ove è radicato un robusto conformismo bifronte, alimentato sia dalla religiosità basata sul monopolio terreno invece che sullo spiritualismo sovrannaturale, sia dalla laicità dedita alla cultura marxista invece che alla società aperta).

Da allora, in varie maniere, è proseguito il tenere il liberalismo ai margini (specie in Italia, ove è radicato un robusto conformismo bifronte, alimentato sia dalla religiosità basata sul monopolio terreno invece che sullo spiritualismo sovrannaturale, sia dalla laicità dedita alla cultura marxista invece che alla società aperta).

Ebbene, al giorno d’oggi una situazione simile è molto  negativa, visto che  l’ attuale  stato del mondo avrebbe particolare bisogno  nel  governare del contributo che da la cultura liberale. Basti richiamare un tema assai attuale. la tecnologia dell’Intelligenza Artificiale. Nei decenni recenti è ormai divenuta uno strumento maturo, mentre nel frattempo la politica senza liberalismo sufficiente non si è accorta che stava maturando. Addirittura la politica tenta ancora di suscitare diffidenza nei confronti dell’IA supposta estranea all’umano. E non è stata neppure capace di affrontare per tempo il proprio compito precipuo : quello di definire le norme utili per evitare che l’impatto dell’IA sulla vita quotidiana sollevi anche nuove problematiche di libertà.

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