Governo tecnico, spesa pubblica, tasse, politica monetaria e Ue: ne parla Carlo Cottarelli in questa intervista a Pietro Senaldi per Libero
Buongiorno presidente…
Presidente è uno dei pochi titoli che non ho, mi chiami dottore. Anche professore sarebbe esagerato. Insegno in università, ma a contralto, non ho mai vinto un concorso.
Ma oggi Mattarella potrebbe chiamarla e offrirle la Presidenza del Consiglio, tutta la stampa la dà tra i papabili…
Da dopo il voto non ho sentito nessuno, prima invece qualcuno si era fatto vivo. Comunque mi stupirei molto di ricevere una chiamata di quel tipo: se ci fosse un governo istituzionale, la prima emergenza da affrontare sarebbe dotare il Paese di una legge elettorale che consenta di avere un vincitore dopo il voto, e allo scopo è più indicato un giurista, io sono un economista.
Mattarella però è molto preoccupato dai conti ed è sensibile alle reprimende che l’Europa continua a farci in materia…
Per un italiano servire il governo è un onore e io non sono uno che si tira indietro. Però bisogna vedere per fare cosa uno viene chiamato.
Le interesserebbe un dicastero economico?
Se si parla di un governo a tempo, di pochi mesi, come pare, non credo che potrei incidere più di tanto. Se poi si vuole aumentare il deficit, non sono io la persona giusta.
Ah già: lei non ha avuto fortuna in politica perché è un duro…
Io non sono un duro. Non sono uno di quei medici che dice “l’operazione è riuscita ma il paziente è morto”. Più semplicemente, sono un interventista e offro delle soluzioni tecniche, che i politici difficilmente adottano perché pensano alle elezioni e molti non sono troppo interessati a una strategia di medio periodo.
E quanto ha imparato dalla sua esperienza di commissario alla spending review, quattro anni fa?
Sì. Peraltro allora il tempo ci sarebbe anche stato. E poi le elezioni sono state perse anche senza i miei tagli. Io non voglio sparare sui politici, sarebbe troppo facile per me che poi non devo rendere conto nell’urna delle mie azioni, però mi lasci dire che ogni tanto avverto della miopia nel loro modo di pensare.
Che cosa serve al Paese adesso?
Mi auguro un governo politico che duri. Non mi entusiasmano i governi tecnici. Certo che mi rendo conto che, stante la situazione, non è improbabile che ci troveremo davanti a una situazione transitoria: un esecutivo di qualche mese, poco politico, per fare la Legge elettorale e sbrigare le pratiche ordinarie.
Che faccia anche la finanziaria?
Se necessario, per me basterebbe la legge elettorale.
Ma come, si sente dire che senza un governo che sventi l’lva, faccia la manovra e rimetta a posto i conti finiremmo nei guai. E poi l’Europa ci chiede stabilità…
Le preoccupazioni dell’Europa sono legittime ma io non credo che nell’immediato ci sia da preoccuparsi per l’assenza di governo o per gli sviluppi politici incerti. Non siamo nel 2011, con lo spread che incombe e non è vero che l’Europa preme per un governo di tecnici, come faceva invece allora. L’unica spinta a un esecutivo istituzionale è data dal fatto che i partiti non riescono a mettersi d’accordo per fame uno politico. In realtà, dal punto di vista dei mercati potremmo tranquillamente permetterci di cambiare la legge elettorale e tornare alle urne a ottobre: quanto tempo serve al Parlamento per darci un nuovo sistema di voto?
Rivotare significa mandare a casa mille neoeletti e sconquassare la mappa dei poteri, non solo politici. Ma parliamo d’economia: perché non c’è emergenza, ci stanno prendendo in giro?
I mercati sono narcotizzati da Draghi, che continua a comprare titoli di Stato. E poi, finché c’è crescita, i mercati sono tranquilli. Io invece sono preoccupato che uno choc esterno possa causare una recessione e far schizzare lo spread, esattamente come avvenne nel 2011.
E il debito pubblico monstre?
Quello conta poco, finché cresce l’economia. Ma diventerebbe invece molto pericoloso se entrassimo in recessione, perché riprenderebbe a crescere rispetto al Pil. La situazione è fragile: finché uno non tira il sasso, il vetro regge, ma se ci fosse uno choc esterno la pagheremmo cara.
Ma allora la crisi è davvero finita: possiamo tagliare le tasse come vogliono Lega, Forza Italia e Fdi e distribuire redditi di cittadinanza come promette M5S?
Le persone sono preoccupate che i partiti non mantengano le promesse elettorali, io invece temevo che fossero mantenute e il fatto che non lo siano state è l’unico effetto positivo del non governo. Nei programmi elettorali, tutti avevano sforato: il Pd di 38 miliardi, il centrodestra di 52, M5S di 64.
Vis-a-vis, nel suo studio presso l’Università Cattolica di Milano, dove dirige l’Osservatorio sui Conti Pubblici, Carlo Coltarelli riesce a semplificare perfino l’ingarbugliata situazione italiana. Siamo nei guai, ma ce la possiamo fare. I conti tengono, risanare l’Italia è possibile, si può tornare a votare subito, a patto che si abbia una legge elettorale efficace, l’Europa è una bisbetica domabile, si può tagliare la spesa pubblica senza perdere consenso e mettere sul lastrico le famiglie, esiste un modo sano per gestire il fenomeno migratorio. Così la vede Mister Forbici.
«Anche se il soprannome che più mi piace è un altro. Me lo appioppò, proprio su Libero, Mario Giordano. Feci una proposta per risparmiare sull’illuminazione nelle città e mi ribattezzò “il genio del lampione”. Simpatico, anche se un po’ impreciso nel raccontare il mio progetto.
Oggi parte l’ultimo giro di consultazioni, presto potremmo avere il governo: se non disinneschiamo le clausole Ue sull’aumento dell’Iva sono dolori?
L’aumento dell’Iva rallenterebbe l’economia, perché incide sui consumi. Certo, nel breve migliora i conti pubblici, ma ci sarebbero modi migliori per rafforzarli. Comunque, per evitarlo servono 12,5 miliardi, esattamente l’aumento della spesa pubblica previsto per il prossimo anno dal documento di programmazione finanziaria. Basta mantenere la spesa costante e si scongiura il problema.
Alla fine si torna sempre lì, mister Forbici?
Io non sono di quelli che pensano che tagliando la spesa l’economia parta per una sorta di effetto fiducia. Se si taglia, nel breve c’è un prezzo da pagare. Però devi farlo, e prima che torni la recessione, perché altrimenti torna il film del 2011: le cose vanno fatte per gradi, non in emergenza, perché quando sei pressato non hai possibilità di scelta e ti avviti, come capitato al governo Monti.
Quel governo fu una iattura…
Data l’emergenza non si poteva fare molto altro. Per questo bisogna muoversi adesso, per evitare che si renda necessario un altro governo stile Monti.
L’Italia è in tempo per salvarsi?
Sì, a meno che non capiti una recessione improvvisa.
Che è alle porte?
Le recessioni sono imprevedibili ma prima o poi capitano, è matematico. Ora, le previsioni sono buone.
Nel 2019, quando Draghi lascerà la Banca Europea e smetterà di comprare vagonate di debito pubblico, torneranno i guai?
Aumenteranno i tassi, ma non sarà drammatico se nel frattempo avremo migliorato i nostri conti.
Mi spieghi la sua ricetta graduale per salvare il Paese?
L’obiettivo è raggiungere gradualmente il pareggio di bilancio. Non siamo lontani: basta congelare la spesa per tre-quattro anni, al netto dell’inflazione, e in una situazione di crescita moderata come oggi raggiungi la scopo senza particolare sforzo.
Congelamento lineare?
No. Iniziamo a togliere dei bonus elettorali, come quello ai diciottenni alle neomamme, non è così che si aiutano giovani e famiglie. Abbiamo ancora un costo dei trasporti sussidiato: io guadagno bene e pago l’abbonamento del tram 300 euro l’anno, ma in sede di dichiarazione dei redditi ne potrei avere indietro 60: le pare giusto? E poi basta con trasferimenti senza senso alle imprese e con il groviglio di detrazioni e deduzioni. Non sono per la flat tax, ma riconosco che ha il pregio di eliminare un sacco di sconti fiscali dannosi. Certe proposte delle forze cosiddette populiste non sono da buttare.
Non è per la detassazione?
Sì, certo che abbassare le tasse aiuta l’economia, ma in Italia è rischioso se la riduzione non è finanziata dal taglio della spesa.
Il Pil sale ma su 28 Paesi Ue, l’Italia, quanto a crescita, si classifica ventiseiesima. Gli occupati salgono, ma siamo ventottesimi su 28…
Pero siamo messi un po’ meglio in classifica in termini di reddito pro-capite, grazie al fatto che la popolazione è diminuita. Comunque la crescita non è sufficiente per recuperare il terreno perso negli ultimi vent’anni, che sono stati per l’economia i peggiori dall’Unità d’Italia a oggi.
I guai sono iniziati con l’entrata in vigore dell’euro: è un caso?
Prima svalutavamo, ora non è possibile. Per cui se il costo del lavoro aumenta più della produttività, come successo nei primi dieci anni dell’euro, perdiamo competitività. Come disse l’allora governatore di Bankitalia, Fazio, nel ’98, quando variano le regole del cambio monetario, se non muti i comportamenti economici ci impieghi poco a perdere competitività e occupazione. Abbiamo adottato una moneta più forte ma abbiamo continuato a comportarci come se potessimo svalutare. L’inflazione è rimasta più alta che in Germania per una decina d’ anni anche perché abbiamo aumentato la spesa pubblica anziché stringere la politica fiscale. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Come se ne esce?
Uscire dall’euro è complicato. In termini di competitività e costo del lavoro stiano recuperando. Bisogna accelerare riducendo altri costi che gravano sulle imprese: l’eccesso di burocrazia, il peso della tassazione, la giustizia lenta.
Gettiamo la maschera: l’Unione Europea è sorella o matrigna?
Gli Stati che compongono la Ue sono spesso ancora troppo egoisti e ciechi. Ognuno persegue il proprio interesse e alla fine ci perdono tutti, perché anziché difendere l’area economica che hanno creato, la danneggiano. Ci facciamo competizione interna anziché competere con il mondo. La viviamo male, tedeschi compresi: da otto anni violano le linee guida Ue con un avanzo nei conti con l’estero di 300 miliardi di dollari. Ma in realtà significa che lavorano per gli altri, come i cinesi. Non si godono il frutto della loro ricchezza, consumano troppo poco.
Con questa Europa divisa, comprende le istanze dei sovranisti?
Non sono un politico, dò giudizi tecnici. Se per sovranismo si intende l’uscita dall’euro, non la ritengo conveniente. Se viceversa si intende far valere i nostri interessi a Bruxelles, è quello che dovremmo fare, visto che gli altri Paesi lo fanno. Ma attenti all’antieuropeismo spinto. In realtà, con le clausole delle forme strutturali, del ciclo economico, della sicurezza e dell’allarme immigrazione, la Ue ci ha concesso più di una deroga al patto di stabilità. Siamo noi che non le abbiamo ottimizzate. Presto in Europa saranno prese decisioni sulle banche, l’immigrazione, la politica agricola: se ci presenteremo al tavolo senza un governo forte, non riusciremo a far pesare i nostri interessi e a difenderci.[spacer height=”20px”]
Pietro Senaldi, Libero 7 maggio 2018