Ci troviamo di fronte ad un nuovo confronto referendario per una revisione della Carta costituzionale, parziale ed insufficiente, che punta alla riduzione dei parlamentari (1/3 dell’attuale consistenza).
Si tratta di una modifica che seppur condivisibile negli intenti, interviene fuori da un contesto della necessaria ampia revisione costituzionale ed è priva dei necessari meccanismi di riequilibrio (modifica delle competenze delle due Camere, riforma elettorale, modifica dei regolamenti parlamentari). Occorre infatti garantire la rappresentanza ed il pluralismo, ma anche la funzionalità dell’Istituzione parlamentare, elementi qualificanti della nostra pur claudicante democrazia.
I declamati obiettivi di riduzione dei costi e di efficienza del procedimento legislativo si scontrano con la realtà. In particolare, con l’esiguità dei risparmi che si conseguono (il «costo di un caffè all’anno» per cittadino) e con il mantenimento del bicameralismo perfetto, che addirittura adesso risulta rafforzato nella connotazione paritaria, peraltro aggravata dalla possibilità di maggioranze diverse tra le stesse Camere e dalla perdita di incidenza della diversa morfologia politica regionale attenuando la rappresentanza dei territori.
Invero la vicenda siciliana della riduzione dei parlamentari (da 90 a 70) è emblematica, dimostra, infatti, la sostanziale irrilevanza in termini di produttività dell’Assemblea, rivela l’esiguità dei risparmi annui: 5,5 mil€ (il costo dell’ARS è sceso da 143 mil a 137,5 mil€). Con la conseguenza che una contrazione di oltre il 20% dei deputati ha prodotto la riduzione di neanche il 4% della spesa complessiva.
E cosi se il risparmio per i siciliani si attesta a 1,10€ l’anno la riduzione dei deputati ha compresso la rappresentanza dei territori sino ad incidere sul pluralismo democratico, soprattutto nelle Province più piccole, come Enna, ove non potrà essere eletto nessun deputato che non appartenga alle due forze politiche maggiori, ma per Caltanissetta. Ragusa e Trapani gli esiti non sono molto diversi. Oggi l’Italia è in linea con i grandi Paesi europei per rapporto tra abitanti e parlamentari (circa 63 mila), con la revisione costituzionale sarebbe quello con la percentuale più alta e con un pregiudizio per il Centro-Sud (136 deputati, 67 senatori) che perderebbe più parlamentari rispetto al Centro-Nord (256 deputati e 129 senatori), mentre Sicilia e Sardegna avrebbero la minore rappresentanza in Senato (da 36 a 25 senatori) tra le Regioni speciali in termini percentuali (in Sicilia 1 senatore ogni 310 mila abitanti, in Trentino Alto Adige 1 ogni 170 mila abitanti. Un’inaccettabile penalizzazione delle aree meridionali insulari, che già pagano un grave divario economico.
Con il referendum c’è però in gioco di più. Il principio che ispira la revisione costituzionale – e gran pane della politica si è mossa prevalentemente per convenienze ed opportunismi – è la svalutazione della democrazia rappresentativa, l’idea populistica di una distorta democrazia diretta, figlia dei peggiori conati dell’antipolitica.
Un Parlamento depotenziato, soprattutto se rimane l’attuale legge elettorale che sovrarappresenta le forze politiche che vincono le elezioni, peraltro, potrebbe affidare ad una maggioranza qualificata di parlamentari (2/3) la modifica di intere parti della Costituzione e senza che peraltro possa accedersi al referendum popolare confermativo. L’autoritarismo potrebbe agevolmente prevalere.
Piuttosto che provvedere al necessario ed organico ammodernamento della Costituzione, si è preferito agitare il feticcio di una pseudo riforma che, proprio perché banalizzata e rabberciata (chi è che non vuole ridurre i costi?) rischia di compromettere il delicato equilibrio di controlli e bilanciamenti delineato, con fatica, dai costituenti.
La Costituzione è il fondamento della nostra convivenza civile che in molti punti necessita di una profonda e complessiva riforma, che va varata con interventi qualificati ed appropriati e non mediante dannosi «colpi di accetta» che intendono demolire la democrazia rappresentativa, allontanando ancor di più gli eletti dai cittadini, in favore delle oligarchie.
Gaetano Armao
Giornale di Sicilia