Pubblica accusa o organo di giustizia? Parte nel processo o garante della legalità? La natura del pubblico ministero è una vexata quaestio del dibattito giuridico, mai realmente conclusa. Nota è la definizione di parte imparziale, un bisticcio terminologico, come evidenziato anche dalla Cassazione. Il tema è di estrema rilevanza e di particolare attualità, essendo un nodo cruciale nella strada per la separazione delle carriere. I magistrati requirenti e la Anm propendono per il carattere dell’imparzialità. Al contrario, i penalisti italiani ritengono prevalente la natura di parte del pubblico ministero, a sostegno della necessità di costituire due distinti Csm, come ricordato da Giuseppe Benedetto nel saggio Non diamoci del tu.
La nuova regola di giudizio per l’archiviazione e l’udienza preliminare, tra le più significative modifiche della riforma Cartabia, ha riacceso il dibattito sul punto. Già nel 2021, quando in Parlamento si approvava la legge delega, il Csm e il Procuratore Capo di Bologna, Giuseppe Amato, rilevavano che la prognosi di condanna attribuisse una inedita funzione di controllo al pm. Il vaglio più stringente sul bivio azione/ inazione sarebbe la nitida dimostrazione della natura super partes degli uffici di Procura, che non devono patire la chiusura delle indagini come una “sconfitta”. Ecco, allora, che sarebbero smontate tutte le tesi di coloro che domandano la separazione delle carriere.
A giudizio di chi scrive, la novella in esame è indice dell’esatto contrario, perché, come si dirà, la nuova regola di giudizio avvicinerà molto il pubblico ministero italiano al public prosecutor degli ordinamenti di Common Law.
Una premessa necessaria: il carattere di parte del pubblico ministero non può ovviamente emergere durante le indagini, quando la notizia di reato è ancora sfumata. È in dibattimento, dopo l’esercizio dell’azione, che prevarrà il carattere di “accusatore”. In tal senso, la riforma Cartabia ci fornisce un dato di nitida evidenza: il pubblico ministero eserciterà nel processo soltanto le funzioni d’accusa. Infatti, se ha agito ritenendo di avere elementi a sostegno di una prognosi di condanna, delle due l’una: o si giunge all’accertamento della responsabilità dell’imputato, o ha errato nelle sue valutazioni.
Tertium non datur. Pertanto, il carattere di parte del requirente è accentuato dalla riforma, non ridotto. Non si trascuri, inoltre, il significativo condizionamento psicologico a cui potrebbe essere soggetto il giudice del dibattimento. Si troverà davanti a un fascicolo su cui il pm (e anche il Gup) si è già pronunciato in termini di probabile responsabilità penale. Ne consegue, allora, che le istanze per la separazione delle carriere siano ancor più fondate di prima. La riforma ha prodotto significativi effetti anche sull’azione penale. Non si dimentichi, infatti, che la Corte costituzionale ha dedotto dal principio dell’obbligatorietà il criterio del favor actionis (sent. 88/1991). In tal senso, l’art. 112 Cost. imporrebbe che l’azione sia esercitata ogni qualvolta manchi l’oggettiva infondatezza della notizia di reato. Questo elemento va letto in combinato disposto con la nuova regola per l’iscrizione della notitia criminis: il fatto deve essere determinato, non inverosimile e riconducibile ad una fattispecie incriminatrice. Si rende immediatamente percettibile il maggior ambito di valutazione di cui godrà il magistrato circa l’inizio delle indagini. L’azione penale obbligatoria, già oggetto di evidentissimi deficit di attuazione, potrebbe essere erosa ancor di più dalla riforma. In conclusione, emerge che la nuova regola di giudizio accentui il carattere di parte del pm e si allontani dalla stretta osservazione dell’obbligatorietà dell’azione. Vi è anche un dato empirico che appare schiacciante: l’evidential succiciency è il criterio fondamentale del pubblico ministero nord- americano, che va a dibattimento solo quando è certo della condanna. Infatti, i suoi progressi di carriera dipendono dal numero di “vittorie”. E allora, se così stanno i fatti, la strada non può che essere una: la separazione delle carriere.
Il Dubbio