La Web tax penalizzerà Pmi e innovazione: il direttore generale della Fondazione Luigi Einaudi Sergio Boccadutri spiega il perché a Formiche.net
La Web tax inserita in legge di bilancio “finirà per ripercuotersi sulle aziende italiane che puntano sui servizi digitali per crescere, in particolar modo le Pmi”. A crederlo è Sergio Boccadutri, già deputato del Pd, esperto di innovazione e oggi direttore generale della Fondazione Luigi Einaudi, che in una conversazione con Formiche.net spiega perché “l’unico modo per tassare in modo equo e conveniente i colossi della Rete non può che passare da una soluzione europea”.
Come valuta la Web tax inserita in legge di bilancio?
Non mi convince affatto, perché finirà per ripercuotersi sulle aziende che puntano sui servizi digitali per crescere.
In che modo potrebbe ripercuotersi sulle aziende e non sulle piattaforme di servizi?
Bisogna essere realisti e concreti. Molte delle piattaforme che offrono servizi digitali – tanto quelle per fornire beni immateriali quanto quelle di e-commerce dove vendere prodotti di ogni tipo – non sono facilmente rimpiazzabili. Per fare un esempio, oggi un negozio che vuole essere presente su Amazon deve chiedere a questi un servizio, oppure rinunciare ad essere presente su Amazon perdendo una potenziale fetta di mercato, a tutto vantaggio dei suoi competitor. Ed è evidente che questo balzello solo italiano sui sarà scaricato dai grandi player sui propri clienti
Chi potrebbe soffrirne maggiormente?
Come al solito le Piccole e Medie Imprese italiane, che sono già – tranne rare eccezioni – mediamente tra le meno digitalizzate d’Europa. E poi, guardando ai numeri, non conviene economicamente. La tassa del 3% sui ricavi delle piattaforme Web potrebbe garantire allo Stato fino a 500 milioni di euro. Ma è molto di più quello che si rischia di perdere in termini di competitività e attività imprenditoriali.
Una esponente del Movimento 5 Stelle, la deputata Mirella Liuzzi, ha twittato che “è improprio chiamarla Web tax, ma piuttosto Ott Tax, perché la proposta del governo italiano è rivolta ai grandissimi del web, sulla scia della proposta francese”. Che cosa ne pensa?
È stato il governo stesso a chiamarla Web tax, come si legge nell’allegato alla lettera inviata a Bruxelles. Si tratta di un documento pubblico, reperibile in Rete. Per questo a mio parere non è corretto che un esponente di maggioranza critichi il nome del provvedimento come se fosse frutto di una ricostruzione giornalistica o di polemica politica. E poi, rientrando nel merito della norma, credo che sia giusto chiamarla proprio Web tax perché, come detto, avrà l’effetto di colpire indiscriminatamente tutte le imprese che acquistano servizi digitali per essere presenti sul web. Senza contare il fatto che trovo il provvedimento estremamente incoerente.
In che cosa sarebbe incoerente?
Trovo la Web tax nel suo complesso incompatibile con la grande enfasi data dall’attuale esecutivo a temi come la Blockchain. Quest’ultima è una tecnologia che apre un mondo di nuovi servizi digitali che, invece di essere agevolati attraverso una specifica detassazione, subiranno anch’essi questo balzello proprio nel momento in cui devono prendere piede sul mercato.
Il tema di una Web o Digital tax che dir si voglia, però, è presente in tutta Europa. Anche altri Paesi si stanno muovendo in modo autonomo. Perché non l’Italia?
Non sono contrario “a prescindere”, ma credo che si possa e si debba fare in altro modo.
Come?
La Web tax potrebbe diventare il primo esempio di imposta che va a finanziare direttamente il bilancio dell’Unione Europea. Questo avrebbe un triplice vantaggio. In primo luogo non colpirebbe solo le aziende italiane. Secondariamente contribuirebbe ad armonizzare il quadro comunitario in tema di fiscalità. E, infine, potrebbe essere destinata proprio a capitoli come ricerca e sviluppo tecnologici, stimolando la nascita di nuovi campioni digitali. A chi dice che questa cosa renderebbe l’Ue più debole dico di no, perché quando una cosa è fatta con una determinata massa critica c’è la possibilità di condizionare il mercato e non subirlo.
Per la piena operatività della nuova Web tax made in italy si dovranno comunque attendere le regole attuative che Mef, Mise e le authority delle comunicazioni, quella della privacy e l’agenzia dell’Italia digitale. E molti ritengono che, visto il dibattito, l’entrata in vigore non sia scontata. Che opinione ha a riguardo?
Il percorso legislativo si è consumato finora in modo corretto. Non esiste una misura tributaria – tranne pochissime eccezioni – che possa esaurirsi in una norma primaria. Servirà una norma secondaria, questo è certo. Da qui la giusta ricostruzione dei prossimi passaggi. Ma non credo possano esserci intoppi, perché il percorso è segnato. Rendere effettiva o meno una siffatta Web tax è ormai questione di volontà politica che purtroppo, finora, sembra esserci stata.
Michele Pierri, Formiche 21 dicembre 2018