In apertura ricordo sempre che una rubrica che parla di libertà non può ignorare come l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia costituisca un’aggressione ai danni di un popolo sovrano e una minaccia per tutte le società aperte del mondo libero.
In questo episodio vorrei suggerire un collegamento tra gli interventi di Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa San Paolo, intervenuto al Word Economic Forum di Davos e quello di Fabio Panetta, governatore della Banca d’Italia insediato da poco.
Entrambi si occupano dell’economia italiana e delle sfide che si trova a fronteggiare. Messina guarda della riduzione dei tassi di interesse che potrebbe tardare rispetto alle attese dei mercati, esprime fiducia della capacità del paese di resistere e indica come principale criticità la dimensione del debito pubblico, che andrebbe ridotto attraverso un piano di privatizzazioni (anche se questa parola tabù non viene pronunciata in modo esplicito. Panetta vede la crescita italiana sotto l’1% e suggerisce di rivedere il modello di sviluppo del paese anche attraverso il reshoring, cioè, riportando in Italia una parte delle produzioni attualmente localizzate all’estero e evidenziando anche le necessità di modernizzazione del paese.
Entrambi gli interventi denotano una visione dirigista e quasi presuppongono un ambiente chiuso e autoreferenziale, ignorando il convitato di pietra della concorrenza internazionale e degli incentivi alla libera circolazione delle persone e delle merci.
Non è la volontà di un funzionario o il dettato di una legge che può decidere dove andranno le imprese a produrre e quanto siano capaci gli individui di innovare. Questi risultatidipendono dalla combinazione di incentivi determinata dalle regole e dalle istituzioni del paese oltre che dalla concorrenza dei sistemi alternativi e degli operatori che vi risiedono.
L’Italia è oggi un sistema ostile al cambiamento e all’innovazione dal quale innovatori e risk taker espatriano e nel quale è sempre meno conveniente produrre, per modificare questo assetto è necessaria una vera e propria rivoluzione culturale, posto che anche la classe dirigente comprende a fatica le trasformazioni in atto nel resto del mondo. Anche la riduzione del debito, sicuramente auspicabile, andrebbe realizzata trattando i risparmiatori italiani come interlocutori consapevoli e informati e non come il solito parco buoi al quale addossare i costi di un Gattoparto che cerca di cambiere tutto affinchè nulla cambi.