Non tutto può essere messo in conto alla guerra. Farlo confonde le idee e favorisce le speculazioni. I prezzi di diverse materie prime erano cresciuti anche prima di febbraio. Per quelle alimentari la crescita era cominciata l’estate del 2021. Complici cattivi raccolti, ripresa post chiusure per pandemia, logistica rallentata. Il mondo era e rimane interconnesso. Sapere distinguere è necessario per rimediare agli errori e conservare quel che ha funzionato.
Per i consumatori il 2022 è cominciato male: tra l’aumento dei prezzi dell’energia, quello del gas naturale e quello della benzina sembra che le famiglie italiane si troveranno ad affrontare una spesa considerevolmente superiore rispetto all’anno precedente. Al coro dei rincari si è recentemente aggiunta la voce “Cereali e derivati”.
Infatti, come mostrato dal primo grafico, il prezzo di questi beni è significativamente lievitato. Nel mese di marzo il mais ha raggiunto un costo maggiorato del 61,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, il valore dell’orzo è cresciuto del 75,7% mentre quello del frumento tenero ha avuto un incremento del 76,4%.
Il rincaro più evidente è quello del frumento duro: +81,8% rispetto a marzo 2021. Le ragioni di questi vertiginosi rincari sono state spesso attribuite alla guerra in corso tra Ucraina e Russia. Infatti, secondo i dati dell’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentale (Ismea), circa un quarto dei cereali importati nel mondo proviene da queste due nazioni.
Come illustrato dal secondo grafico, possiamo notare che i due Paesi producono il 31% del frumento tenero, il 17%del mais e il 26% dell’orzo importati. Tuttavia, il conflitto in corso non sembra essere direttamente correlato contali rincari. Infatti, a differenza di quanto accade con il gas naturale, l’Italia non figura tra i Paesi più dipendenti dal grano di Kyiv e Mosca, avendo nel Canada il partner commerciale più importante.
Gli effetti della guerra colpiscono il nostro mercato in modo indiretto: a causa dei porti chiusi e dei campi in fiamme, il flusso di cereali proveniente dai due Paesi si è interrotto, aumentando così la domanda internazionale e, di conseguenza, anche il prezzo di tali beni sul mercato locale. Sebbene la guerra tra i due Paesi possa aver contribuito al raggiungimento degli attuali picchi, l’aumento del prezzo dei cereali è un fenomeno che è possibile riscontrare anche nei mesi precedenti allo scoppio del conflitto.
Osservando il terzo grafico, che rappresenta l’andamento del prezzo medio dei cereali sui mercati italiani, possiamo notare come le curve comincino a impennarsi già intorno a luglio 2021.
Dunque, una volta presa visione dei dati, è possibile affermare cum grano salis che il rincaro dei prezzi non è dovuto solo alla guerra in corso ma anche ad altri fattori contingenti. Tra questi possiamo citare il disastroso raccolto canadese del 2021 (il Canada fornisce all’Italia il 46% di tutto il grano importato) e la scelta degli agricoltori italiani di puntare maggiormente sulla qualità del prodotto piuttosto che sulla quantità.
a cura di Luca Ricolfi e Luca Princivalle (Fondazione David Hume) su La Ragione