Il Consiglio di Stato è stato chiaro: le prime unioni civili si potranno celebrare prima di Ferragosto. Bene, qualunque cosa si pensi della legge Cirinnà, non aveva molto senso che, una volta approvata, si facesse passare troppo tempo prima di poterla applicare appieno. Tuttavia, come è normale quando entra in vigore una norma che introduce istituti giuridici nuovi, qualche dubbio interpretativo comincia già ad affiorare.
Uno di questi riguarda le convivenze di fatto e la chiarezza sul punto è importante, perché la scelta dell’una o l’altra interpretazione ci dirà se l’ordinamento giuridico italiano tiene ancora in conto la libertà degli individui di autodeterminarsi o se si avvia inesorabilmente a diventare un paternalistico sistema in cui lo Stato sa sempre meglio della persona qual è il suo “bene”.
Com’è noto, la legge 76 del 2016 regola anche le convivenze di fatto tra due persone che sono unite “stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale”. I conviventi possono essere dello stesso sesso o di sesso diverso, e per accertare “la stabile convivenza” devono presentare all’anagrafe un’apposita dichiarazione. Questa condizione fa sorgere diritti e doveri per la coppia da un punto di vista successorio, di accesso ai dati personali, di reciproco sostegno, di possibile corresponsione di alimenti dopo la rottura del legame è così via. Inoltre, la registrazione è condizione per poter stipulare un contratto di convivenza che regoli i rapporti tra i contraenti.
La nuova legge, peraltro, non ha abrogato la possibilità prevista da un decreto del 1989 di dichiarare all’anagrafe l’esistenza di una convivenza per vincoli affettivi, che possono essere anche di amicizia o parentela (zio e nipote, per esempio) e riguardare più persone.
Infine, esistono le convivenze di persone che mantengono la residenza separata o che non hanno né tempo né voglia di registrarsi da alcuna parte.
Ecco, secondo un’interpretazione estensiva ed in punto di diritto la convivenza é “accertata” dalla dichiarazione prevista dalla legge Cirinnà ma non costituita dalla stessa, quindi esiste a prescindere. La conseguenza sarebbe che, salvo per gli effetti tipici previsti dalla novella legislativa, ossia la possibilità di sottoscrivere il contratto di convivenza, gli altri diritti e doveri si applicherebbero anche a tutti gli altri conviventi, compresi quelli registrati secondo il decreto del 1989 o gli “anonimi”.
Io non penso che la lettura della norma porti a tale conclusione ma, se così fosse, saremmo di fronte ad un classico caso di summum ius, summa iniuria.
È mai possibile che un cittadino non possa sfuggire all’amorevole aiuto della legge? Che il legislatore, considerandolo un minus habens, lo protegga e gli imponga dei doveri nell’ambito dei rapporti personali quando è ovvio che di tale amorevoli diritti e cavillosi doveri il nostro cittadino vuole fare a meno?
Senza nemmeno soffermarsi sul caos che si produrrebbe per stabilire se un paio di settimane con la morosa siano stabile convivenza o meno, o se la legge, pensata per le coppie che vivono insieme, come si diceva una volta, more uxorio, sia applicabile allo studente che invece divide i costi dell’appartamento con un suo caro amico, il punto centrale è un altro: perché lo Stato deve per forza imporre comportamenti o garantire privilegi in una sfera personalissima come quella affettiva? La giurisprudenza nel corso degli anni aveva già regolato alcuni problemi scaturenti da una situazione di convivenza caratterizzata da “affetto familiare” proprio perché mancava una legge apposita; ora che c’è, solo chi rientra nella sua definizione e come tale si registra dovrebbe essere sottoposto alle relative prescrizioni.
Perché dei terzi, ad esempio gli eredi di uno dei conviventi non registrati ed ahimè deceduto, dovrebbero vedere i loro diritti (ereditari), diminuiti da altri diritti che in vita i conviventi non avevano inteso creare visto che non si erano registrati?
L’intrusione del nella vita e nelle tasche degli individui é già arrivata a livelli mai prima raggiunti: almeno nei propri affetti lasciamo liberi i cittadini di evitare di avere a che fare con burocrati e carte bollate.
Alessandro De Nicola, Repubblica del 23 luglio 2016