Quei ragazzi hanno il diritto d’essere puniti. Dalle occupazioni delle scuole, corredate con video sui social, in cui gli occupanti fumano spinelli, alle classi in cui si tira la sedia alla docente, di spalle, il messaggio è uno solo: puniteci.
Magari i diretti interessati non la vedono proprio in questo modo, ma il passaggio dall’adolescenza all’età adulta è un continuo confronto fra l’affermarsi trasgredendo (o supponendo di trasgredire, giacché tutti pensammo, ad esempio, d’essere i primi a scoprire l’esistenza della sessualità, destando gran tenerezza) e il misurarsi con il principio d’autorità. Con una autorità. I genitori (si può dire, o lo scioccamente corretto lo impedisce? Il padre). I professori. Senza di loro vale la gang. Non importa troppo se abbiano torto o ragione, se agiscano bene o male, importa che svolgano il loro ruolo: l’autorità. Anche da superare e abbattere, crescendo, per poi trovarsi a esercitarla, ma indispensabile perché ciò avvenga.
Quei ragazzi urlano la necessità di un’autorità con la quale misurarsi. Il guaio è che spesso si trovano ad avere a che fare con adulti minori, eterni minorenni, renitenti ai loro doveri, in perenne fuga dalle responsabilità. Che è un po’ la scena collettiva. Autorità non autorevoli che non si riconoscono e si indeboliscono a vicenda, incapaci di capire che ciò li porta alla comune disfatta. Togliendo a quei ragazzi quel che è un loro diritto: misurarsi ed essere puniti. Non li ricorderanno come buoni, ma come inutili.
Davide Giacalone, 8 novembre 2018