Il senso della sentenza costituzionale è: volendo, si può votare anche subito. Il tempo impiegato, superiore alle previsioni della Corte stessa, non riflette una discussione dottrinaria, ma lo scontro fra ipotesi opposte.
Da una parte c’era l’inopportunità che anche per la Camera, dopo che ciò era già avvenuto per il Senato, fosse la Consulta a scrivere la legge elettorale. Dall’altra c’era la voglia di avere uno strumento subito utilizzabile. Ha prevalso questa seconda posizione.
Con un effetto paradossale: Camera e Senato hanno due sistemi diversi (lo sono sempre stati), teoricamente compatibili, ma derivati da leggi totalmente differenti, più che di stampo maggioritario con (orridi) premi di maggioranza, corrette in senso proporzionale dai giudici costituzionali.
Alla Camera rimane il premio, ma scatterebbe solo se un partito superasse il 40% dei voti. In assenza di ciò, si tratta di leggi proporzionali, con la soglia di sbarramento al 3% per la Camera e all’8% per il Senato. Il risultato è che non ci sarà una maggioranza omogenea nelle due Aule.
Tema ancora più delicato: se le forze sovraniste e antieuropeiste raccoglieranno qualche punto in meno della metà dei voti, ne deriverà che per governare tutti gli altri si dovranno mettere assieme. Scena non confortante, generata dall’irresponsabilità propagandistica di alcuni e dal tempo che Matteo Renzi ha sprecato.
È un sistema immediatamente applicabile, ma applicarlo immediatamente è da stolti. Restano i capilista bloccati, scelti dalle segreterie dei partiti. Per gli ortotteri non è un problema, tanto i parlamentari neanche possono rilasciare interviste, senza l’autorizzazione del capo, ma per tutti gli altri significa confermare quanto votarono approvando l’Italicum: chi dissente non sarà candidato. Per la minoranza Pd è una specie di campana a morto.
Questa voglia di fare in modo che ci sia per forza un vincitore, anche se non ha i voti per esserlo, combinata con le liste bloccate, ha generato mostri: dal 1948 al 1992 i parlamentari che cambiarono partito furono 11; dal 1994 in poi, e specie nelle ultime due legislature, centinaia. Il trasformismo promosso a normalità.
Ieri è finita l’attesa della sentenza. Già quella la dice lunga sull’incapacità del legislatore di provvedere in proprio. Gli ultimi a potersi lamentare della supplenza costituzionale sono proprio i politici. A metà di questa legislatura è stato prodotto un sistema frutto di arroganza legislativa e avventurismo politico, l’Italicum, che presupponeva una riforma costituzionale poi bocciata dagli italiani.
Se ancora esistesse dignità della politica si dovrebbe partire dalla sentenza per fare in chiusura quel che si sarebbe dovuto fare in apertura: un sistema elettorale più rispettoso delle istituzioni e degli elettori. Quel che si è visto porta a escluderlo.
Ed è questa, a ben vedere, la più profonda e umiliante sconfitta della politica.
Davide Giacalone, Il Giornale 26 gennaio 2017