Non esistono leggi elettorali buone o cattive in sé, ma coerenti o meno con il sistema istituzionale nel quale operano. Pensare di adottarne una sperimentata altrove e supporre di poterne ricavare i medesimi effetti è stolto.
Come trovarsi su una vetta innevata e proporsi di fare una nuotata sol perché ci si accinge a calzare le pinne. È importante il modo in cui si contano i voti e li si trasforma in seggi parlamentari (a questo serve la legge elettorale), ma non solo è parimenti decisivo cosa fanno gli eletti, come formano i governi, quali equilibri distinguono i poteri, ma anche i costumi contano. Quelli degli eletti e quelli degli elettori.
Dimenticarlo significa praticare una vasta diseducazione elettorale.
Non è che se votassimo à la francese avremmo più probabilmente un Macron, perché quello è il prodotto del semi-presidenzialismo. Senza puoi fare il MicroMacron, ovvero il verso senza costrutto.
Votando con la legge tedesca non avremmo automaticamente governi stabili, perché quelli sono il prodotto di un dettato costituzionale che stabilisce l’impossibilità di far cadere un governo se non ne hai un altro pronto da mettere al suo posto.
Quante crisi di governo in meno ci sarebbero state, con quella regola? Se su uno di quei modelli si trovasse l’accordo per adottarlo, la serietà dei contraenti e del contratto sarebbe valutabile in base alla promessa di non limitarsi all’imitazione vernacolare, senza cambi costituzionali. Epperò non basta ancora, perché c’è anche il costume, a pesare.
I tedeschi hanno un sistema proporzionale e governi di coalizione, come nella nostra prima Repubblica. Ma hanno anche il governo più stabile e autorevole d’Europa. Conta la storia (ci si dimentica troppo in fretta che appena qualche anno fa era un Paese diviso in due), la diversa Costituzione, ma anche la condotta politica: fatto un accordo, nata una coalizione di governo, chi la distruggesse, fuggendo dagli impegni presi, sarebbe considerato inaffidabile e cialtronesco.
Da noi crede d’essere furbo. I liberali tedeschi sono stati alleati della sinistra e della destra, ma sempre dopo un passaggio elettorale. Da noi i rimescolamenti accadono nel corso di una legislatura. Dal 1948 al 1992 a cambiare casacca furono solo 11 parlamentari in carica. In questa legislatura hanno raggiunto le quattro centinaia. E qui pesa il costume degli elettori.
Le leggi elettorali non devono solo essere coerenti con i sistemi istituzionali, ma anche durature, in modo che s’impari a utilizzarle. L’elettore pragmatico vota seguendo idee e interessi, badando a come il suo voto si tradurrà in effetto.
Se gli cambiano ogni volta la contabilità, divenendo imprevedibile l’effetto, l’elettore deciderà per fede o per ripulsa, voterà più contro che a favore, alimentando arruffapopoli e trasformisti.
Vero è che il tempo sta scadendo, ma non è un buon motivo per varare leggi scadenti. Non esiste il magichellum, capace di creare virtù sconosciute agli astanti, un po’ di serietà, però, aiuterebbe.[spacer height=”20px”]
Davide Giacalone, Il Corriere della Sera 30 maggio 2017