Il progetto di riforma della legittima difesa sta per arrivare in dirittura d’arrivo. Dopo il deposito degli emendamenti, la prossima settimana sarà discusso in Commissione, e quindi in aula. Il governo non sembra ancora del tutto convinto sul testo definitivo, ma probabilmente un accordo ci sarà. Vale la pena, vista l’importanza dell’argomento, di riassumerne per sommi capi il percorso e le varie obiezioni.
La legittima difesa contempla il caso di chi si oppone a un’ingiusta aggressione in atto, con una reazione proporzionata al pericolo. Il che significa, per intendersi, che non si può recuperare con la violenza la refurtiva a casa del ladro, e nemmeno gli si può sparare alle spalle se scappa con la biancheria. Questi principi valgono in tutto il mondo civile e continueranno, naturalmente, a valere anche dopo l’eventuale approvazione della riforma.
Qui però subentrano due considerazioni: la prima, che chi si trova un intruso in casa di notte non può sapere se viene a svuotargli il frigorifero o a violentare la moglie, o ad ammazzare 1’intera famiglia, come purtroppo è accaduto negli ultimi tempi. La seconda che, dovendosi comunque fare un’indagine, chi si è difeso in casa si trova in seguito a doversi difendere anche in tribunale pagandosi l’avvocato.
È proprio su questi due momenti che incide, in modo sostanziale, il progetto in esame. In primo luogo, escludendo la punibilità di chi, per salvare la propria o altrui incolumità, ha agito in stato di paura; in secondo luogo, sollevando dalle spese legali chi, indagato o processato per l’eccesso colposo, alla fine venga assolto.
Il primo principio è di buon senso: se davanti a un’ aggressione in atto, Tizio si sente minacciato nella propria persona, è assurdo domandarsi, col senno di poi, se la reazione sia stata proporzionata al pericolo realmente corso, perché quello che conta è il pericolo percepito. Pretendere che il derubato in casa accenda la luce e chieda al ladro se le sue intenzioni siamo dirette alla sottrazione della biancheria o a una brutale violenza sessuale è, ovviamente, una sciocchezza. In termini giuridici si chiama inesigibilità. Il secondo principio il rimborso delle spese – si fonda sulla caratteristica tipica della legittima difesa, dove l’indagato è in realtà l’aggredito. Meglio, è la prima vittima dell‘inadempienza dello Stato che non ha saputo garantirne la sicurezza. Reagendo a un’ aggressione in atto, (ripetiamo, in atto) il cittadino in realtà si sostituisce proprio allo Stato, attuando quella tutela di cui è stato privato. Questo, ovviamente, non ha nulla a che vedere con il farsi giustizia da sé. Quest’ultima si verifica quando, (ripetiamolo ancora), ci si va a riprendere la refurtiva o si va a punire l’aggressore, non quando si respinge un attacco che può costarti anche la vita. E quindi è logico che, una volta accertata la legittimità della difesa, sia lo Stato a sobbarcarsi le spese legali.
Il testo della riforma contiene anche tante altre cose, compreso il solito aggravamento delle pene sulla cui efficacia intimidatrice nutriamo, come sempre, scarsissima fiducia. Ma nel complesso va bene, e si avvicina, senza poterlo realizzare compiutamente, al principio liberale ben diverso da quello del codice del 1930 ancora in vigore. Quest’ultimo, significativamente firmato da Mussolini, considera il cittadino un suddito, e quindi gli pone i limiti entro i quali si può difendere.
Mentre un codice liberale dovrebbe ragionare in modo opposto: chiedersi entro quali limiti lo Stato abbia il diritto di punire chi si difende da un’aggressione che lui, Stato, non è riuscito a impedire. Ma per arrivare a questo risultato occorrerebbe, appunto, un nuovo codice penale. E quindi una filosofia politica condivisa, una determinazione duratura, e un tempo ragionevole di riflessione teorica e di formulazione normativa. Vasto programma, direbbe De Gaulle.
Carlo Nordio, Il Messaggero 14 ottobre 2018