«L’Europa esiste. Abbiamo tutti il sentimento che esista, e questo sentimento è molto forte. A che cosa corrisponde, perché deve necessariamente corrispondere a qualcosa? In altre parole, in cosa consistono i caratteri comuni, l’essenza della civiltà europea, l’unità dell’Europa?» Questo si chiedeva Louis Gonzague de Reynold nel 1934 in L’Europe tragique.
Senza alcun dubbio, fa subito presente de Reynold, «il carattere più appariscente e più costante (dell’Europa) è il contrasto, l’opposizione, la diversità, la complessità. Ecco il fondamento dell’unità Europea» – un fondamento che si alimenta del messaggio cristiano.
L’Europa – dice de Reynold – deve, infatti, al Cristianesimo «il senso della spiritualità» e, insieme, «il bisogno di agire, il bisogno di creare (…) L’Europa è intelligenza e volontà: quando si è impadronita di una verità, la fa subito lavorare e agire. Questa nozione della fede attiva, laboriosa, è ancora al cristianesimo che la deve».
E poi è proprio in base al messaggio cristiano che «l’Europa è capace di concepire l’unità della specie umana». E «da ciò deriva che la sua capacità di assorbire e di assimilare le forme di cultura, di pensiero, di vita, più estranee al proprio genio».
E se questa è l’Europa, si fa allora chiaro che «la decadenza dell’Europa è la conseguenza di quella dello spirito cristiano.
In teoria come nella pratica, l’unità dell’Europa non si ricostituirà, la decadenza dell’Europa non sarà arrestata che nella misura in cui le nazioni europee sapranno ritornare al cristianesimo, e al cristianesimo integrale, poiché ci si salva solo attraverso un ritorno al principio stesso della propria vita». Il male dell’Europa, conclude de Reynold, è «un male spirituale».
Che l’allontanarsi degli Europei dalle idealità cristiane significherebbe la fine dell’Europa è una idea ribadita con forza da Thomas Stearns Eliot (…) nei suoi Appunti per una definizione della cultura: «Non m’interesso molto della comunione dei cristiani credenti ai nostri giorni; parlo della comune tradizione cristiana che ha fatto l’Europa quella che è, e dei comuni elementi culturali che questa cristianità ha portato seco. Se l’Asia venisse domani convertita al Cristianesimo, non per questo diverrebbe parte dell’Europa. Nella Cristianità le arti si sono sviluppate.
In essa le leggi dell’Europa – fino ai tempi recenti – hanno avuto le loro radici. È su di uno sfondo cristiano che tutto il nostro pensiero acquista significato. Un singolo europeo può non credere che la Fede Cristiana sia vera, e tuttavia tutto ciò che egli dice, e fa, scaturirà dalla parte di cultura cristiana di cui è erede, e da quella trarrà significato».
Eliot è chiaro: se il Cristianesimo se ne va, è l’Europa che scompare. «Dobbiamo molte cose alla nostra eredità cristiana, oltre alla fede religiosa. Attraverso di essa ripercorriamo l’evoluzione delle nostre arti, attraverso di essa ci è giunta la nostra concezione della legge romana che tanto ha fatto per dar forma al mondo occidentale, e le nostre concezioni della moralità pubblica e privata, ed i nostri comuni modelli letterari, nella cultura della Grecia e di Roma. Il mondo occidentale ha la sua unità in questa eredità, nel Cristianesimo e nelle antiche civiltà della Grecia, di Roma e d’Israele, alle quali, attraverso duemila anni di Cristianesimo, noi riconduciamo la nostra origine».
In breve, conclude Eliot, «quel che desidero dire è che questa unità negli elementi comuni della cultura è da molti secoli il vero legame tra di noi. Nessuna organizzazione politica ed economica, quale che sia la buona volontà che essa voglia imporre, può supplire a quanto deriva da questa unità culturale. Se noi disperdiamo o gettiamo via il nostro comune patrimonio, allora tutte le organizzazioni ed i progetti delle menti più ingegnose non ci governano, né contribuiranno ad unirci».
Questi pensieri di Eliot risalgono al 1948. Allora, la sua paura era che «nel nostro mondo, che ha visto tanta devastazione materiale, anche questo patrimonio spirituale è in imminente pericolo». I decenni successivi gli hanno dato e gli stanno dando, purtroppo, ragione.
Più di un secolo prima di de Reynold e di Eliot, è stato un pensatore russo, e cioè Pëtr J. Caadaev, a vedere l’indissolubile unione tra Europa e Cristianesimo.
Ed ecco quanto egli sull’argomento afferma nelle sue Lettere filosofiche del 1829: «I popoli dell’Europa hanno una fisionomia comune, un’aria di famiglia. Malgrado la divisione generale di questi popoli in stirpi latina e teutonica, in meridionali e settentrionali, esiste un legame che li unifica tutti in un solo fascio, ben visibile a chiunque abbia approfondito la loro storia. Lei sa che non è trascorso molto tempo da quando l’Europa si chiamava Cristianità e che questa parola aveva il suo posto nel diritto pubblico. Oltre a questo carattere generale, ognuno dei suoi popoli ha un carattere particolare; ma tutto ciò deriva dalla storia e dalla tradizione, che costituiscono l’ereditario patrimonio ideale di questi popoli. Ogni individuo ne gode l’usufrutto e, senza fatica e senza travaglio, accoglie nella sua vita e mette a profitto queste nozioni presenti nella società. Faccia lei stessa il confronto e mi dica quali idee elementari noi possiamo raccogliere e scambiarci servendocene, nel bene e nel male, per dirigere le nostre vite? Sono le idee di dovere, di giustizia, di diritto, di ordine; derivano dagli stessi avvenimenti che hanno costituito la società e sono elementi integranti del mondo sociale di questi paesi. È questa l’atmosfera dell’Occidente; è più che storia, più che psicologia, è la fisiologia dell’uomo europeo». [spacer height=”20px”]
Dario Antiseri, Il Giornale 1 marzo 2018