La riforma dell’ordinamento giudiziario firmata dal precedente ministro, Marta Cartabia, non ha rappresentato certo una rivoluzione. “Timidi passi nella giusta direzione, ovvero a garanzia dei principi cardine dello Stato di diritto”: è così che il mondo forense l’ha grossomodo valutata. Tuttavia l’Associazione nazionale magistrati ne ha paventato effetti dirompenti e ha fatto fuoco e fiamme per impedirne l’approvazione.
La riforma Cartabia è stata approvata sul finire della scorsa legislatura, ma gli addetti ai lavori danno per scontato che non vedrà mai la luce. Il motivo è semplice: i magistrati fuori ruolo che occupano le funzioni apicali del ministero della Giustizia lo impediranno. La tesi non è peregrina. Lo conferma il fatto che lo scorso ottobre la Cartabia non è entrata in vigore a causa, ma guarda un po’, della mancanza dei relativi decreti attuativi che avrebbero dovuto essere licenziati dal Ministero. Non era mai successo prima.
Ebbene, la notizia è che lo strapotere informale della magistratura sulle scelte politiche del ministro della Giustizia di turno non è destinata ad affievolirsi, ma ad accrescersi. Nel Palazzo circola, infatti, un emendamento firmato dal governo che, col pretesto del Pnrr, fa saltare il tetto previsto dal decreto legge 143 del 2008 portando da 65 a 75 il numero massimo di magistrati che possono essere destinati a ricoprire funzioni apicali nel ministero della Giustizia. Dieci magistrati in meno ad occuparsi della giurisdizione, dieci magistrati in più ad impedire che qualsivoglia riforma prenda vita contro il parere della corporazione togata.
Un secondo emendamento governativo prevede la costituzione di una nuova Direzione generale presso il gabinetto del ministro al costo di poco meno di 300mila euro, ed è chiaro a tutti che a ricoprire quella funzione sarà un magistrato. Altri due emendamenti, questa volta di iniziativa parlamentare, firmati da senatori Lega e di FdI, aggira il divieto, previsto della legge Cartabia, di rientro in ruolo per i magistrati che hanno assunto incarichi di governo.
C’è n’è abbastanza per dichiarare ufficialmente defunto l’antico principio del primato della politica. Questione che in tempi ormai lontani il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga così riassunse: “La funzione legislativa è stata ormai usurpata manu militari dalla magistratura, che, con la complicità di politici timorosi delle conseguenze in caso di diniego, impedirà qualsivoglia riforma vagamente seria dell’ordinamento giudiziario”.