Potrebbe essere l’inizio di una imprevedibile trattativa gestita con eccentrico metodo trumpiano. Ma potrebbe anche non esserlo. E tutto potrebbe essere esattamente come oggi, all’inizio di un nuovo scenario ucraino e all’alba di una Nuova Era globale, in effetti appare. Quel che appare è che gli Stati Uniti intendano abbandonare l’Ucraina al proprio destino e molti ritengono che il governo italiano finirà per seguirli.
Per l’Italia sarebbe un déjà-vu. La conferma di un atteggiamento antico che ci ha resi, per così dire, celebri nel mondo. Come la tendenza a concederci, per usare la metafora del cancelliere tedesco von Bulow, frequenti “giri di valzer” con partner diversi da quelli ufficiali che in occasione della Prima guerra mondiale ci portò a denunciare la Triplice Alleanza con Austria e Germania per abbandonarci tra le braccia di Francia e Gran Bretagna.
Come la furbizia di Benito Mussolini, che nel maggio del 1939 schierò l’Italia al fianco della Germania convinto che Hitler avrebbe di lì a poco vinto la Seconda guerra mondiale. Lo definirono Patto d’Acciaio, ma col rovesciamento del fronte l’8 settembre del ‘43 si capì che da parte italiana la lega metallica era dotata di una flessibilità sconosciuta all’acciaio temperato. Una flessibilità che disorientò gli stessi italiani, da cui la celebre battuta di Alberto Sordi nei panni del sottotenente Innocenzi in Tutti a casa: “Colonnello, accade un cosa incredibile: i tedeschi si sono alleati con gli americani”. Una flessibilità che, secondo la leggenda, indusse il Fuhrer ad un raro moto di ironia: “I carri armati italiani hanno sei marce, cinque in retromarcia e una in avanti nel caso in cui vengano attaccati da dietro”. Ironia amara.
Come quella di Leo Longanesi quando osservò che “la nostra bandiera nazionale dovrebbe recare una grande scritta: tengo famiglia”. O quella di Winston Churchill, che nel dopoguerra annotò sconsolato: “Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti…”. O quella di Indro Montanelli, secondo il quale “nel vocabolario italiano, idealista diventa sinonimo di fesso e intelligenza di furberia”.
Se, dunque, le intenzioni di Trump sono davvero quelle che appaiono, si riproporrà all’Italia l’antico dilemma: onorare gli impegni presi o tradirli sperando di guadagnarci qualcosa? Ad oggi, Giorgia Meloni si è tenuta in equilibrio tra Stati Uniti ed Europa. Cambiare registro avrebbe infatti dei costi alti. Costi politici e costi di immagine. La postura fermamente atlantica e inderogabilmente filo Ucraina le ha garantito, cosa tutt’altro che scontata, la fiducia dei partner e delle istituzioni europee, dei mercati finanziari e del mondo libero. Una scelta qualificata “etica” e dichiaratamente ancorata ai sacri principi di sovranità, libertà e democrazia da una leader politica che ha costruito la propria immagine pubblica su un’ideale di coraggio personale e di coerenza ideale. Un voltafaccia sarebbe esiziale.
Se Donald Trump confermerà la linea putiniana in Ucraina, Giorgia Meloni si troverà a un bivio: potrà imboccare la strada ampiamente battuta dell’arcitalianità smentendo se stessa o potrà confermare quanto detto e fatto negli ultimi tre anni smentendo i pregiudizi che da sempre affiggono il Belpaese. La seconda, oltre che una scelta onorevole, sarebbe una novità.