L’Italia del referendum e la rappresentanza parlamentare non coincidono. Neanche si somigliano. Questo è il punto: l’Italia del No è senza rappresentanza.
Alla quarta votazione, alla Camera dei deputati, il No ha raccolto il 2.5%. Il fronte del Sì quotava il 97.5%. Alla campagna referendaria quel fronte s’è presentato impaurito, ma non modificato. Per il Sì erano, coerentemente, i 5 stelle; incoerentemente il Pd; inconsistentemente la Lega e Fratelli d’Italia; mentre Forza Italia ha provato la via della libertà agli elettori, ovvero quella della fuga dalla competizione. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: una partecipazione non alta, ma neanche asfittica, un No che raccoglie elettori in fuga da quelli che dovrebbero rappresentarli. Non è questione di libertà (e ci mancherebbe non ci fosse o si dovesse attendere che qualcuno la riconosca!), ma di una secca e innegabile differenza fra l’Italia referendaria e l’Italia parlamentare.
Vince il Sì, naturalmente. Questo non porterà, come qualcuno ha incoscientemente sostenuto, ad una delegittimazione del Parlamento in carica, ma ad un consolidamento delle maggioranze variabili e sovrapposte che lo popolano. La Costituzione è modificata, ma senza che vi sia accordo alcuno sulla legge elettorale e senza che vi sarà altra riforma costituzionale in questa legislatura. Quindi anche i cantori del “primo passo” compariranno per quel che sono: venditori di prodotti che non hanno.
Vedremo anche i definitivi delle regionali (al momento non disponibili), ma, nel complesso, mi pare che le cose stiano così: la maggioranza di governo sopravvive senza vitalità, mentre chi pensava di prenderla a spallate può solo far da spalla.
Resta il punto: l’Italia del No, affermatasi a dispetto dei partiti esistenti, è priva di rappresentanza. E non è la sola.