I topi non sono arrivati a Roma con il sindaco Raggi, ma neanche se ne sono andati, sol nel vederla ascendere al Campidoglio. Ci vuole fantasia per supporre che in capo a quel sindaco, o alla sua giunta, vi siano delle responsabilità, come ce ne vuole per assegnar loro dei meriti. Ancora neanche hanno cominciato. Però, ecco, fa un certo effetto vedere annunciare nelle prime pagine le loro crisi, manco fosse cascato un governo, laddove (almeno per ora) non è cascata neanche una giunta. Fa effetto misurare la non larvata soddisfazione: eccoli, hanno fatto cilecca. Il tutto per cercare di non dire quel che a me pare solare: questo sindaco, questo tipo di giunta, questa inesistenza del governo municipale, è quel che gli elettori vollero. Il che non riguarda solo Roma.
La capitale è oggi in mano a vincitori elettorali che non sono una classe dirigente e hanno idee confuse sul cosa e come fare. Non è una questione che riguarda specificamente gli ortotteri, tanto più che in altre città, come Torino, le cose vanno assai diversamente. Ma a Roma è così perché quello è stato il senso del voto: via tutti, avanti gli incompetenti. La vittoria di Raggi è stata travolgente perché gli altri, a torto o a ragione, e molto più a ragione che a torto, erano già stati travolti dal discredito. Gli elettori romani hanno voluto, a furor di popolo, far fuori la politica. Si sono rifiutati di anche solo ascoltare chi sosteneva di avere qualche cosa da dire. Hanno scelto la via dell’azzeramento. Bon, lo zero è effettivamente quel che si ritrovano in cattedra.
Ma è sciocco assai pretendere di prendersela con il sindaco, o con il partito che l’ha candidata. Mica nascondevano la loro natura, anzi la esaltavano e reclamizzavano, ben sapendo che era quel che il mercato elettorale chiedeva. Né mi pare che abbia fondamento il senso di rivalsa che si legge in certi commenti: se sono riusciti a farsi sconfiggere dal nulla è segno che nella competizione avevano messo meno di nulla.
Proviamo a trarne una lezione: non parteggio per questi o quelli, non credo che esistano rivincite, ma ho idea che si debba tornare alla noia. Varrà la pena provare a studiare i problemi e star ad ascoltare se chi si candida a governarli ha delle idee o solo quattro cretinate buttate lì per compiacer la plebe. E mica vale solo per Roma. E mica vale solo per chi fa politica. Vale anche per il resto e per chi fa informazione, come per chi viene informato e vota (o non vota, ovvero vota per non votare). Se ci si deve esprimere sempre in trenta secondi andremo avanti con gente che vuole uscire dall’Europa, dall’euro, dal debito, dalle catastrofi. Fino a uscire di testa. Sempre alla ricerca di un colpevole morale, tramandando l’immoralità dell’incapacità.
A Roma gli elettori hanno ottenuto quel che volevano. Sarà il caso che lo osservino attentamente. Come sarà il caso che tutti si presti attenzione. Magari per esserne felici. Oppure per imparare.
Davide Giacalone, Il Giornale del 2 settembre 2016