Andremo avanti così, salvo intese, fino al nulla. E lo faremo dicendoci di stare evitando il peggio. Che pare non abbia fine, ma anche questo ravanare nel niente sfinisce. Eppure un modo per rompere l’andazzo c’è. O ci sarebbe.
Oramai neanche ci si fa caso a che per superare un concorso da autista si debba conoscere l’inglese, mentre al governo si combatte il “vairus”, né rileva che per i morti di Beirut si sia vicini al popolo libico. Quisquiglie. Quel che uccide è continuare imperterriti a far crescere la spesa corrente finanziandola a debito, che si spendano fiumi di denaro per accudire i mali senza supporre di dover rimediare, che si discuta animatamente su quali e quanti fondi europei (senza la Bce saremmo già da tempo in bancarotta) prendere, ma non su cosa farci. Ci penseremo a ottobre. Quando il debito sarà al 160%. Spaventoso.
Eppure così ci si trascinerà, talora compiacendosi di riuscire a farlo. La resa dei conti è spostata tanto in avanti da non rientrare negli orizzonti elettorali di nessuno. Ma sfugge un dettaglio: a trascinarsi è il nulla, mentre chiunque supponga (con generosità verso sé) d’essere una forza politica sarà annientato. E questo capita perché tutti, maggioranza e opposizione, si consegnano prigionieri del medesimo gioco: far concorrenza al populismo, gareggiare in demagogia. In una broda di questo tipo hai voglia a favoleggiare di governi Draghi: prima c’è da consumare i quattrini in arrivo.
Eppure un modo per spezzare l’incantesimo c’è. E non è in mano alle forze politiche, esauste di sé medesime, ma agli elettori: bocciare la demagogica riforma costituzionale che taglia il numero dei parlamentari. Votare No. Il 20 settembre. Magari ricordando il valore e il colore della ricorrenza.
Conosco l’obiezione: è impopolare. Appunto, proprio per questo. Anche perché il popolo ha già votato due volte contro il taglio dei parlamentari. Il punto non è affatto quanti sono, ma chi sono, come selezionati. Tagliare la rappresentanza per risparmiare è come castrarsi per evitare la tentazione. Sappiamo tutti benissimo che è, appunto, una castroneria. Il Pd ora prova a celarsi dietro l’avere condizionato il voto alla riforma della legge elettorale, ma è una balla che sanno essere tale, perché è escluso, sicuramente e totalmente escluso che sia varata entro settembre. Mentre che sia avviata è superba presa in giro. Si farà, se si farà, a una settimana dalle elezioni. Altrimenti il frinente partito di maggioranza relativa dovrebbe mettere in conto il suo brutale ridimensionamento.
Il No sarebbe la fine dello strazio, la rottura della continuità, l’indicazione che la circense gara a chi la spara più grossa ha stufato, che galleggiare non è un risultato, tanto più che fra quel che galleggia c’è anche quello di cui ci si libera. Il No non sarebbe la vittoria di questo o di quello, ma la sconfitta di una legislatura iniziata male e che continua perché non trova neanche una buona ragione per finire.
L’occasione c’è. Se sarà persa non sarà la prima e non la sola. Speriamo solo non sia anche l’ultima.
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