Luigi Einaudi teorizzò gli Stati Uniti d’Europa 44 anni prima del Manifesto di Ventotene (che senza il suo magistero non sarebbe nato), eppure…

Luigi Einaudi teorizzò gli Stati Uniti d’Europa 44 anni prima del Manifesto di Ventotene (che senza il suo magistero non sarebbe nato), eppure…

Diceva il professor Lorenzo Infantino, compianto gigante della filosofia liberale, che “senza il magistero di Luigi Einaudi non ci sarebbe stato il Manifesto di Ventotene”. Vero. Come è vero che senza il pensiero e l’azione di Luigi Einaudi non sarebbe presumibilmente nata neanche la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, che nel 1951 rappresentò il nocciolo duro attorno a cui prese corpo l’Unione europea.

Eppure, quando, come in questi giorni, si dibatte sui padri fondatori dell’Europa unita a nessuno viene in mente di citare il nome di Einaudi. Si cita la coppia scoppiata Altiero Spinelli-Ernesto Rossi, o Alcide De Gasperi, o Robert Schumann, o Konrad Adenauer… Tutti tranne Luigi Einaudi. Il cui nome, come ha osservato lo stesso Infantino durante un convegno organizzato lo scorso marzo alla Camera dei deputati dalla Fondazione Luigi Einaudi, non figura neanche sul sito dell’Unione europea, “dove si può trovare una lista di pionieri, su alcuni dei quali ci sarebbe molto da dire”.

Bizzarra dannazione, considerando che Luigi Einaudi vaticinò la nascita della “federazione europea” in un articolo pubblicato sulla Stampa di Torino nel lontano agosto 1897, 44 anni prima della diffusione del Manifesto di Ventotene. Tesi poi ripresa e sviluppata in due lettere pubblicate con lo pseudonimo di Junius dal Corriere della Sera alla fine degli anni Dieci del Novecento: una critica durissima alla Società delle nazioni voluta dal presidente americano Woodrow Wilson, accusata di velleitarismo perché fondata sull’integrità delle singole sovranità nazionali; un atto d’amore incondizionato nei confronti degli “Stati Uniti d’Europa” costruiti su base federalista.

Luigi Einaudi lungimirante? Di più: profetico. Ad esempio, a proposito della Difesa comune: “La federazione europea sarebbe un nome vano, si ridurrebbe ad una inutile e dannosa società delle nazioni se non disponesse di una forza propria, atta a difendere il territorio federale contro le aggressioni esterne e ad impedire le guerre tra gli Stati aderenti”, mise nero su bianco Einaudi ben prima che, nel 1954, la Comunità europea di difesa venisse affossata dalla Francia di de Gaulle.

Scrive Luigi Einaudi nel 1954: “Nella vita delle nazioni di solito l’errore di non saper cogliere l’attimo fuggente è irreparabile. La necessità di unificare l’Europa è evidente. Gli Stati esistenti sono polvere senza sostanza…. Solo l’unione può farli durare. Il problema non è tra l’indipendenza e l’unione; è tra l’essere uniti o scomparire”. L’Europa, dunque, non come alternativa alle identità nazionali, ma come presupposto alla loro sopravvivenza. Perché, prosegue lo scritto einaudiano, “il tempo propizio per l’unione è soltanto quello durante il quale dureranno nell’Europa occidentale i medesimi ideali di libertà. Siamo sicuri che i fattori avversi… non acquistino inopinatamente forza sufficiente a impedire l’unione, facendo cadere gli uni nell’orbita nordamericana e gli altri in quella russa?”. Ecco, a settant’anni di distanza, è indiscutibilmente questo lo scenario attuale.

Nel 1945, Luigi Einaudi elogiò quel “gruppo di giovani, temprati dalla dura scuola della galera e del confino nelle isole, il quale è deliberato a mettere il problema della federazione in testa a tutti quelli i quali debbono essere discussi nel nostro paese”. Si riferiva, ovviamente, ai giovani che diedero vita al Manifesto di Ventotene. Opera che mai avrebbe visto la luce se i suoi autori non fossero stati ispirati dalla lettura di alcuni libri sul federalismo inglese suggeriti dal medesimo Einaudi. “Una rivelazione“, ammise Altiero Spinelli. Una rivelazione analoga fu per Jean Monnet la lettura delle opere einaudiane. Fu da quei testi, e dal continuo confronto con il loro autore, che prese il via la costruzione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, cui Einaudi contribuì fattivamente dalla presidenza della Repubblica.

Luigi Einaudi, dunque, non fu solo il “Presidente della ricostruzione” ,dell’Italia nel dopoguerra, fu anche l’uomo a cui più di altri si deve la costruzione dell’Unione europea. Peccato che, inspiegabilmente, siano in pochi a ricordarlo.

Huffington Post

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