In Francia e in Germania hanno proibito le manifestazioni a favore della causa palestinese. Sono manifestazioni che utilizzano il popolo palestinese quale ostaggio verbale, come Hamas lo usa quale ostaggio materiale. Alla Fiera di Francoforte hanno deciso di sospendere la consegna di un riconoscimento a una scrittrice palestinese, conosciuta per le sue tesi anti israeliane. Si tratta di due errori. Le manifestazioni non si proibiscono (salvo che non ricorrano specifici problemi di ordine pubblico) e i premi assegnati si consegnano (semmai interrogandosi sui criteri d’assegnazione). Il perché non si trova soltanto nel generico e pur importante fatto che noi siamo il mondo libero e difendiamo la libertà dei nostri avversari e di chi la pensa diversamente da noi, ma risiede nella convenienza: le ragioni della civiltà non devono temere le parole di chi le mette in discussione, non devono avere timore.
È facile osservare che manifestazioni a favore della (presunta) causa palestinese sono possibili nelle nostre strade, mentre non lo è vederne a favore di Israele in Cina o in Russia. Il che vale anche per la libertà di culto: è facile trovare moschee dalle nostre parti, meno trovare chiese in tante (non tutte) aree musulmane. Vero, ma non c’è un solo buon motivo per cui si debba aspirare ad assomigliare al peggio essendo il meglio.
Non è saggio togliere la parola, lo è darla. E ritrovarla. Gli estremisti si amano fra di loro e si scambiano vicendevolmente la legittimazione: esisto e sono violento perché c’è quell’altro che esiste ed è violento; tolgo la parola perché quell’altro non riconosce la libertà di parola; affermo essere unica la mia identità religiosa perché quell’altro vuole che sia unica la sua. Sono colleghi. Il che capita anche in politica ed è la ragione per cui le piazze d’Israele erano piene di vita e opposizione, prima che Hamas le riempisse di morte: il governo provava a svellere i cardini del diritto, cercando la forza nel perdurare del nemico alle porte. Finché il nemico le ha sfondate. Gli estremisti collaborano fra loro, li si combatte collaborando fra ragionevoli.
Il guaio è che gran parte dei ragionevoli rinunciano alla parola o la danno per scontata. Invece si potrebbe perderla, continuando a dire che sono “tantissimi” i manifestanti anti occidentali, mentre sono ben più numerosi i cittadini della libertà. Il guaio è lasciare la piazza agli estremisti. Compresa la piazza digitale. Invece non si dovrebbe mai lasciare senza replica, non si dovrebbe mai smettere di esporre le proprie idee e richiamare i fatti. Questo è il modo per combattere i nemici della storia.
Una digressione su casa nostra. Per ricordare l’infamia del 16 ottobre 1943, quando la comunità ebraica di Roma fu rastrellata e inviata alla morte, la presidente del Consiglio ha detto che si tratta di «uno dei crimini più efferati che la storia italiana abbia conosciuto», perpetrato dai «nazisti con la complicità fascista». Lo sapevamo già, ma va sottolineato un miliardo di volte e vanno valorizzate le parole di chi è cresciuto sulla scia dell’ammirazione verso il fascismo. O vogliamo essere così ipocriti da negare il valore di quelle parole e il disvalore di quella provenienza? Si deve essere ottusi per non capire che la giusta posizione di politica estera del governo italiano, sia sulla questione ucraina che su quella israeliana, discende dall’avere rinnegato quell’orrida radice. E si deve essere ciechi per non accorgersi che nel governo ci sono diverse posizioni. Così come nell’opposizione. La parola serva a non tacerlo.
Israele è un bastione della libertà occidentale, come l’Ucraina è una trincea della sicurezza occidentale. Né Israele né l’Ucraina sono la perfezione, perché la perfezione è dei pazzi assassini, invasati e mistici. Ma l’attacco a Israele e all’Ucraina viene dai nemici del nostro mondo. A quanti, in casa nostra, si schierano da quella parte non va tolta la parola: vanno ricoperti di parole, colpo su colpo, senza nulla concedere.
La Ragione