La proposta di redigere il manifesto venne fatta a Croce da Giovanni Amendola, che, il 20 aprile del 1925 scrisse:
«Caro Croce, avete letto il manifesto fascista agli intellettuali stranieri?…oggi ho incontrato varie persone le quali pensano che, dopo l’indirizzo fascista, noi abbiamo il diritto di parlare e il dovere di rispondere. Che ne pensate voi? Sareste disposto a firmare un documento di risposta che potesse avere la vostra approvazione? E, in caso, vi sentireste di scriverlo voi?”; rispose Croce il giorno dopo: “Mio caro Amendola…l’idea mi pare opportuna. Abbozzerò oggi stesso una risposta, che a mio parere, dovrebbe essere breve, per non far dell’accademia e non annoiare la gente»
Un gruppo di scrittori, di professori e di pubblicisti ha deciso di comunicare alla stampa una risposta al manifesto degli intellettuali fascisti.
I sottoscrittori invitano coloro i quali condividono i concetti espressi nella loro risposta, a comunicare la loro adesione.
Riproduciamo testualmente il documento, che porta dal campo nostro le firme dei nostri amici e collaboratori on. prof. Anile e prof. Nicola Festa dell’Università di Roma.
Gl’intellettuali fascisti, riuniti in congresso a Bologna, hanno indirizzato un manifesto agl’intellettuali di tutte le nazioni per spiegare e difendere innanzi ad essi la politica del partito fascista. Nell’accingersi a tanta impresa quei volenterosi signori non debbono essersi rammentati di un consimile e famoso manifesto, che, agli inizi della guerra europea, fu bandito al mondo dagli intellettuali tedeschi: un manifesto che raccolse, allora, la riprovazione universale, e più tardi dai tedeschi stessi fu considerato un errore. E, veramente, gl’ intellettuali, ossia i cultori della scienza e dell’arte, se come cittadini, esercitano il loro diritto e adempiono il loro dovere con l’ ascriversi a un partito e fedelmente servirlo, come intellettuali hanno solo il dovere di attendere, con l’ opera dell’indagine e della critica, e con le creazioni dell’arte, a innalzare parimenti tutti gli uomini e tutti i partiti a più alta sfera spirituale, affinché, con effetti sempre più benefici, combattano le lotte necessarie.
Varcare questi limiti dell’ufficio a loro assegnato, contaminare politica, letteratura e scienza, è un errore, che, quando poi si faccia, come in questo caso, per patrocinare deplorevoli violenze e prepotenze e la soppressione della libertà di stampa, non può dirsi neppure un errore generoso. E non è nemmeno, quello degl’ intellettuali fascisti, un atto che risplenda di molto delicato sentire verso la Patria, i cui travagli non è lecito sottoporre al giudizio degli stranieri, incuranti (come, del resto, è naturale) di guardarli fuori dei diversi e particolari interessi politici delle proprie nazioni.
Nella sostanza, quella scrittura, è un imparaticcio scolaresco, nel quale in ogni punto si notano confusioni dottrinali e mal filati raziocini: come dove si prende in scambio l’atomismo di certe costruzioni della scienza politica del secolo decimottavo col liberalismo democratico con la concezione sommamente storica della libera gara e dell’avvicendarsi dei partiti al potere, anche, mercé l’opposizione, si attua, quasi graduandolo, il progresso; ‐ o come dove, con facile riscaldamento retorico, si celebra la doverosa sottomissione degl’ individui al Tutto, quasi che sia in questione ciò, e non invece la capacità delle forme autoritarie a garantire il più efficace elevamento morale.
[… ] Ma il maltrattamento della dottrina e della storia è cosa di poco conto, in quella scrittura, a paragone dell’abuso che vi si fa della parola “religione”; perché, a senso dei signori intellettuali fascisti, noi ora in Italia saremmo allietati da una guerra di religione, dalle gesta di un nuovo evangelo e di un nuovo apostolato contro una vecchia superstizione, che rilutta alla morte, la quale le sta sopra e alla quale dovrà pur acconciarsi; ‐ e ne recano a prova l’ odio e il rancore che ardono, ora come non mai, tra italiani e italiani. Chiamare contrasto di religione l’ odio e il rancore che si accendono da un partito che nega ai componenti degli altri partiti il carattere d’ italiani e li ingiuria stranieri, e in quest’atto stesso si pone esso agli occhi di quelli come straniero e oppressore, e introduce così nella vita della Patria i sentimenti e gli abiti che sono propri di altri conflitti; nobilitare col nome di religione il sospetto e l’ animosità sparsi dappertutto, che hanno tolto perfino ai giovani dell’Università l’ antica e fidente fratellanza nei comuni e giovanili ideali, e li tengono gli uni contro gli altri in sembianti ostili: è cosa che suona, a dir vero, come un’ assai lugubre facezia.In che mai consisterebbe il nuovo evangelo, la nuova religione, la nuova fede, non si riesce a intendere dalle parole del verboso manifesto; e, d’ altra parte, il fatto pratico, nella sua muta eloquenza, mostra allo spregiudicato osservatore un incoerente e bizzarro miscuglio di appelli all’ autorità e di demagogismo, di professata riverenza alle leggi e di violazione delle leggi, di concetti ultramoderni e di vecchiumi muffiti, di atteggiamenti assolutistici e di tendenze bolsceviche, di miscredenza e di corteggiamento alla Chiesa cattolica, di aborrimento dalla cultura e di conati sterili verso una cultura priva delle sue premesse, di sdilinquimenti mistici e di cinismo. E, se taluni plausibili provvedimenti sono stati attuati o avviati dal governo presente, non è in essi nulla che possa vantare un’ originale impronta, tale da dare indizio di un nuovo sistema politico, che si denomini dal fascismo.
Per questa caotica e inafferrabile “religione” noi non ci sentiamo, dunque, di abbandonare la nostra vecchia fede: la fede che da due secoli e mezzo è stata l’ anima dell’Italia che risorgeva, dell’Italia moderna; quella fede che si compose di amore alla verità, di aspirazione alla giustizia, di generoso senso umano e civile, di zelo per l’ educazione intellettuale e morale, di sollecitudine per la libertà, forza e garanzia di ogni avanzamento. Noi rivolgiamo gli occhi alle immagini degli uomini del Risorgimento, di coloro che per l’ Italia patirono e morirono, e ci sembra di vederli offesi e turbati in volto alle parole che si pronunziano e agli atti che si compiono dai nostri italiani avversari, e gravi e ammonitori a noi perché teniamo salda in pugno la loro bandiera. La nostra fede non è un’ escogitazione artificiosa e astratta o un invasamento di cervello, cagionato da mal certe o mal comprese teorie; ma è il possesso di una tradizione, diventata disposizione del sentimento, conformazione mentale e morale.
Ripetono gl’ intellettuali fascisti, nel loro manifesto, la trista frase che il Risorgimento d’ Italia fu opera di una minoranza; ma non avvertono che in ciò appunto fu la debolezza della nostra costituzione politica e sociale e anzi par quasi che si compiacciano della odierna per lo meno apparente indifferenza di gran parte dei cittadini d’ Italia di fronte ai contrasti tra il fascismo e i suoi oppositori. I liberali di tal cosa non si compiacquero mai, e si studiarono a tutto potere di venire chiamando sempre maggior numero d’ italiani alla vita pubblica; e in questo fu la precipua origine anche di qualcuno dei più disputati loro atti, come la largizione del suffragio universale. Perfino il favore, col quale venne accolto da molti liberali, nei primi tempi, il movimento fascistico, ebbe tra i suoi sottintesi la speranza che, mercé di esso, nuove e fresche forze sarebbero entrate nella vita politica, forze di rinnovamento e (perché no?) anche forze conservatrici. Ma non fu mai nei loro pensieri di mantenere nell’inerzia e nell’indifferenza il grosso della nazione, appagandone taluni bisogni materiali, perché sapevano che, a questo modo, avrebbero tradito le ragioni del Risorgimento italiano e ripigliato le male arti dei governi assolutistici e quietistici. Anche oggi, né quell’asserita indifferenza e inerzia, né gli impedimenti che si frappongono alla libertà, c’ inducono a disperare o a rassegnarci.
Quel che importa, è che si sappia ciò che si vuole e che si voglia cosa d’ intrinseca bontà. La presente lotta politica in Italia varrà, per ragione di contrasto, a ravvivare e a fare intendere in modo più profondo e più concreto al nostro popolo il pregio degli ordinamenti e dei metodi liberali, e a farli amare con più consapevole affetto. E forse un giorno, guardando serenamente al passato, si giudicherà che la prova che ora sosteniamo, aspra e dolorosa a noi, era uno stadio che l’ Italia doveva percorrere per rinvigorire
la sua vita nazionale, per compiere la sua educazione politica, per sentire in modo più severo i suoi doveri di popolo civile.
1 Maggio 1925
Benedetto Croce
Giovanni Amendola
Luigi Einaudi
Filippo Abignente jr
Luigi Albertini
Sibilla Aleramo
Giulio Alessio
Corrado Alvaro
Giovanni Ansaldo
Vincenzo Arangio-Ruiz
Antonio Banfi
Sem Benelli
Roberto Bracco
Costantino Bresciani Turroni
Piero Calamandrei
Mario Casella
Emilio Cecchi
Giuseppe Chiovenda
Cesare De Lollis
Floriano Del Secolo
Guido De Ruggiero
Gaetano De Sanctis
Francesco De Sarlo
Luigi Einaudi
Giorgio Errera
Guido Ferrando
Guglielmo Ferrero
Giustino Fortunato
Plinio Fraccaro
Tommaso Gallarati Scotti
Panfilo Gentile
Arturo Carlo Jemolo
Arturo Labriola
Eustachio Paolo Lamanna
Giuseppe Levi
Giorgio Levi Della Vida
Carlo Linati
Paola Lombroso Carrara
Attilio Momigliano
Rodolfo Mondolfo
Eugenio Montale
Marino Moretti
Gaetano Mosca
Ugo Enrico Paoli
Giorgio Pasquali
Gaetano Pieraccini
Giuseppe Rensi
Vincenzo Rivera
Francesco Ruffini
Gaetano Salvemini
Michele Saponaro
Matilde Serao
Arturo Solari
Adriano Tilgher
Vito Volterra
Umberto Zanotti Bianco